Gli atleti della Nazionale Italiana di Ultramaratona convocati ai Campionati Mondiali IAU 2012 che si svolgeranno a Katowice, Polonia, nei giorni 8 e 9 settembre 2012 si ritroveranno dal 20 al 22 luglio in Val d’Aosta, a Champdepratz.
Incontri tecnici, colloqui personali, esami medici e fisioterapia con il preparatissimo Staff IUTA, il tutto per mettere nelle migliori condizioni gli atleti che si avvicinano all’importante appuntamento mondiale.
Alle spalle, ai precedenti Mondiali di Brive-la-Gaillard del 2010, un ricco bottino per l’Italia, con 8 medaglie e 4 MPI. Ricordiamo fra tutti Ivan Cudin (bronzo mondiale ed oro europeo) e Monica Casiraghi (argento mondiale ed europeo) e complessivamente una straordinaria prestazione di squadra, con un secondo posto mondiale per la squadra maschile, oro europeo e un altro argento (mondiale ed europeo) per quella femminile.
L’appuntamento del 2011 è saltato, con grande amarezza da parte degli atleti: difficile recuperare entusiasmo quando l’obiettivo che sogni viene cancellato nel giro di poche settimane, per problemi organizzativi da parte del paese che doveva organizzare la manifestazione.
Alcuni ne hanno sofferto parecchio dal punto di vista agonistico ma, soprattutto, la squadra non si è più ritrovata negli ultimi due anni.
Questo raduno assume allora una importanza strategica per il gruppo, per ricreare quello spirito di squadra vincente che ha portato gli Azzurri tanto in alto nel 2010 a Brive. E per creare un’atmosfera ancora più vera, abbiamo scelto di condividere il disagio di un “accampamento”, del dormire per terra in condizioni provvisorie in una sala comune della tenuta Issogne, messa gentilmente a disposizione da un’azienda valdostana.
Un simbolico gesto di condivisione con due compagni di squadra, Monica Barchetti ed Andrea Accorsi, che hanno perso la loro abitazione nel terremoto che a maggio ha colpito l’Emilia.
Tutta la squadra si stringerà attorno al dramma dei due atleti emiliani, simboli dell’ultramaratona italiana nel mondo, che con coraggio e metodicità, stanno ricostruendo la loro vita.
E intanto, preparano un Mondiale. Sarà una grossa responsabilità per tutta la squadra onorare questo impegno e la forza d’animo di Monica ed Andrea.
Ultimo aggiornamento (Venerdì 13 Luglio 2012 18:24)
“Ciro, come va?” “Manu, mi ritiro non c’è la faccio più. Sto morendo o forse sono già morto...”. “Sulla mia macchina non sale chi si vuol ritirare. Ti fai dare un passaggio da qualcun altro”. La macchina grigia, apparsa all’improvviso, accelera e se ne va. Lasciandomi solo in quell’oceano d’asfalto bollente.
...Vedo il traguardo azzurro, azzurro come il cielo e bello come il mare. Voglio solo lui. Eccolo, trenta, venti, dieci, cinque metri... “Siiiii!, urlo, m’inginocchio e guardo in alto. Inizio a piangere, ce l’ho fatta.
In questi due periodi così diversi e tra di loro agli antipodi, è racchiusa tutta la mia UltraBalaton 2012: la sofferenza atroce seguita da una gioia indescrivibile. Sono partito da Milano il giorno prima della gara insieme a Marco Bonfiglio (ultimo vincitore della Nove Colli Running), doveva essere un week-end tranquillo, ma si trasformerà ben presto in un fine settimana tragicomico.
Decolliamo dalla Malpensa già con mezz’ora di ritardo e atterriamo a Budapest. Dopo l’autobus e le due metro, ci rechiamo a prendere il treno che ci porterà in zona lago Balaton. Chiediamo informazioni a due ferrovieri che fanno finta di non capire. Girovaghiamo per la stazione domandando a destra e a manca, ma niente, sembriamo extraterrestri catapultati da un altro pianeta. Dopo un po’, fermi su uno stesso binario, troviamo due treni che vanno in due località diverse. Quello che parte prima dovrebbe essere il nostro e due passeggeri confermano la nostra ipotesi. Partiamo e, dopo mezz’ora di viaggio, il ferroviere che prima aveva fatto finta di non capire, ci dice, sogghignando beffardamente, che abbiamo sbagliato e che dobbiamo tornare nella direzione dalla quale stavamo arrivando. Nel cambio di convoglio troviamo un ragazzo che dove andare nella nostra stessa località e si offre da guida. Lo seguiamo, però ci fa capire che il viaggio, tra cambi ed altro, durerà circa tre ore e venti. Un’eternità! Decidiamo così, dopo aver ringraziato il giovane, di prendere un taxi. Ci chiedono quasi duecento euro, trattiamo finche l’autista della macchina più scassata ci dice: “Vi porto io per centoventi”.. Aggiudicato. Naturalmente senza aria condizionata, sedile con le molle quasi di fuori, ma va bene, solo che ci porti a Tihany sarà una vittoria! Arrivati ad un distributore fa il pieno, ma, all’improvviso, toglie la scritta taxi...(ogni mondo è paese).
Arriviamo nella piccola penisola del lago dopo un paio d’ore e quasi dimentico lo zaino sul taxi. Andiamo a ritirare i pettorali e notiamo con piacere che la zona è piena di gente allegra proveniente da tutto il mondo e note musicali volteggiano nell’aria. Si scherza, si ride ed intanto espletiamo tutte le formalità. Verso le otto e mezza il pasta party: un piatto di farfalle scotte, con panna, bacon e zucchero a velo, un bicchiere di birra e un gelato. Quando tutto è sistemato andiamo in albergo. Andare in albergo? E’ un eufemismo. Chiediamo indicazioni ma naturalmente c’è chi non capisce e chi ci manda da tutt’altra parte. Taxi non ce ne sono, tutto buio e i locali stanno chiedendo. C’è un ragazzo, parla inglese ed è gentilissimo, ci fa vedere sul suo navigatore dove dobbiamo andare e naturalmente dobbiamo fare quasi cinque chilometri a piedi... Con santa pazienza c’incamminiamo. Dopo un chilometro e brancolando nel buio, arriviamo ad un incrocio: “E adesso?” Marco si ricorda che sul suo telefonino ha il satellitare, lo accende e, naturalmente, siccome non ce ne va una per il verso giusto, ci dice che deve aggiornare le licenze e quindi non funziona. All’improvviso, ecco il miracolo,una coppia ci viene incontro e la ragazza parla italiano. Gentilissimi più che mai ci fanno arrivare un taxi da un paese vicino, che giungerà dopo mezz’ora e così dopo tanto girovagare giungiamo in albergo.
E’ tardissimo, ma prepariamo comunque tutta la nostra roba per l’indomani mattina e poi sveglia alle quattro. Naturalmente, non potendo fare colazione perché non in orario, ci affidiamo alla bontà del portiere di notte che ci prepara un panino con prosciutto, formaggio e...peperoni. Sono le cinque del mattino ed insieme all’amico Giacomo Maritati ci rechiamo alla partenza e, tra foto ricordo e battute, aspettiamo l’orario della partenza. E’sabato 30 Giugno sono le 6.00 del mattino e, dalle sponde del lago Balaton in Ungheria, parte la 6^ edizione ella Ultrabalaton, gara di 212km che costeggia in parte l’omonimo lago. C’è caldo, ma ancora si sta bene.
Man mano che passano i chilometri, scorriamo simpatici villaggi ed i nostri occhi catturano i bei colori che disegnano il “mare d’Ungheria”. Incontriamo gente simpatica che ci vede come marziani, tutto molto particolare, ma il nemico trama nell’ombra. La temperatura aumenta sempre di più e più avanzo e più mi accorgo che il percorso non è poi del tutto piatto come veniva descritto. Due salite col 10% di pendenza, un percorso fatto di saliscendi interminabili, passaggi su sterrato, erba e ancora asfalto. Sarà così per una sessantina di chilometri, quando poi il tragitto diventerà piatto fino quasi alla fine. Ben presto la temperatura si stabilizza sui 42/43 gradi, siamo ancora agli inizi e tutto procede abbastanza bene. Lungo la strada già si vedono atleti in difficoltà ed ancora il cinquantesimo chilometro è lontano da venire. Sirene d’ambulanza squarciano l’atmosfera e purtroppo questo sarà il refrain dell’intera corsa. La mia andatura è cauta e così mi permetto il lusso di scattare anche qualche foto ricordo. Le bevande ai ristori: acqua, the, birra, coca, integratori, iniziamo a trovarle calde. Purtroppo anche gli Organizzatori si son fatti cogliere impreparati da questa anomala ondata di caldo. Non si trova un po’ di ghiaccio neanche a pagarlo (alla fine ne troveremo un po’ ad un solo ristoro) e così, man mano, inizia a prendere corpo il dramma.
Non me ne accorgo subito, ma pian piano pensieri negativi iniziano a far capolino, poi un’ondata di negatività prende posto nella mia testa. Pian piano il caldo s’impossessa di me. Reagisco, alterno il passo alla corsa cercando di riprendermi. Scorrendo alcune località turistiche vedo gente rilassata e sorridente e tutto questo stride col mio stato d’animo. Le persone, le cose, che incontro lungo il mio percorso non hanno più forme definite, sembrano liquide, l’asfalto bollente da lontano sembra bagnato, è un gioco ottico, ma in quel momento mi sembra stranissimo. In preda agli incubi e a paure che non ho mai avuto, inizio a camminare. Ma camminare sarebbe bello, barcollo, sono alla deriva. Passano i chilometri, tanti, pochi, non so. Il tempo scorre lentamente. Ho ancora un briciolo di lucidità, sottovoce cerco i motivi di questa disfatta clamorosa, le cause di queste mie difficoltà.. Un urlo dalle viscere esclama: “Sei un esaltato, ti devi ridimensionare, non hai più voglia di soffrire, hai sottovalutato la gara e adesso paga. Ritirati, ritirati, ritirati! Cerco di lottare ma, come un pugile suonato che vaga per il ring, sbando per la strada, non capisco niente. Avevo però coscienza che c’era anche chi stava peggio di me: atleti stesi sull’erba nelle aiuole, sotto gli alberi nelle villette sul lago. Sembrava un campo di battaglia, una Via Crucis. Sempre quella flebile vocina mi diceva: “Vai avanti,vai avanti!”, ma subito veniva sopraffatta dai mostri. Sono ormai allo stremo delle forze. E’ pomeriggio inoltrato e adesso ho deciso di ritirarmi, chiedendomi che senso avesse continuare quello sperpetuo. Definitivamente nel mio cervello avevo già scritto la parola “fine” ed avevo già pensato a tutte le scuse che avrei trovato per giustificare questa mia personalissima Caporetto.
All’improvviso però una voce: “Ciro come va?” “Manu, mi ritiro, non c’è la faccio più, sto morendo o forse sono già morto...”. “Sulla mia macchina non sale chi si vuol ritirare. Ti fai dare un passaggio da qualcun altro”. La macchina grigia, apparsa all’improvviso, accelera e se ne va lasciandomi solo in quell’oceano d’asfalto bollente. Con i miei problemi e le mie angosce vedo un bar, fuori c’è un’altalena e un tubo di gomma dalla quale esce acqua. Mi fermo, mi tolgo le scarpe (cosa da non fare mai), slaccio il marsupio e cerco un po’ di refrigerio all’ombra sotto l’altalena. Ormai sono perso. Dopo venti minuti mi rialzo, l’acqua mi dà una leggera scossa, ma ormai i titoli di coda stanno passando. Duecento metri più avanti c’è un ristoro, impiego dieci minuti per raggiungerlo anche perché non riesco a capire se sogno o son desto, credevo fosse un miraggio. Dieci interminabili minuti per porre fine alla mia agonia. Mi prendono il tempo facendomi mettere il chip, che ho all’indice sinistro, nella macchinetta. Non ho neanche la forza per dire: “Mi ritiro”. Vedo una sdraio, mi siedo un attimo e, mentre sto per raccogliere le ultime forze per chiamare il giudice, ecco che inviato dal cielo arriva il mio angelo salvatore, Alessandro “Rambo” Papi che, vedendomi come mai prima, esclama nel suo idioma toscano: “Cirinho, icche’tu fai?”. “Ale, amico mio, mi ritiro. Non ho più voglia di soffrire” e quasi piango dalla rabbia. Lui, dall’alto della sua esperienza, mi consiglia di stendermi e riposare un po’, non prima però d’aver bevuto e mangiato qualcosa. “Tanto il tempo c’è, stai tranquillo”. Intanto la Manu, sua moglie, mi ha comprato una bottiglia d’acqua frizzante fredda che prima di bere mi passo sul collo, in faccia e sul mio stanco corpo. Il Papi riparte e la moglie lo segue dopo qualche minuto. Passa un americano e mi dice:”Cirinho, go,go c’mon, only two hours, poi sole no più”. “Sono le ultime parole che ricordo prima d’addormentarmi ed essere rapito dai fantasmi. Ogni tanto, qualcuno mi tocca forse per vedere la mia reazione, rispondo ma non so in quale lingua.
Mi sveglio e mi accorgo che sono passati circa cinquanta minuti. La situazione è completamente ribaltata. Sono fresco, tranquillo e riparto rinvigorito nel corpo e nello spirito. Echeggia nella mia mente il discorso di Al Pacino alla sua squadra nel film “Ogni maledetta domenica”. Lo conosco a memoria e, cambiando le parole, modellandole su quello che stavo facendo, mi ripeto: “Non so cosa dirti Cirinho, mancano un po’ più di cento chilometri al traguardo. Tutto si decide oggi, ora tu o risorgi come atleta o scompari nell’oblio della mediocrità. Hai visto l’inferno pochi minuti fa, potevi rimanervi, bruciare lì, ma hai deciso di lottare e vedere la luce. Hai deciso di scalare le pareti dell’inferno e venirne fuori.... Adesso io non posso obbligarti a lottare! Guardati dentro, guardati negli occhi, scommetto che ci vedi un uomo determinato a guadagnare chilometri, ci vedrai un uomo che si sacrificherà volentieri per questa sua meta”. Quello che è successo prima non è mai esistito, vado avanti con fatica, certo, ma sicuro di me stesso. Ormai ho ripreso il controllo della situazione e so che niente e nessuno adesso mi potrà fermare. Mi ricarico della vitalità che sprizza la gente che vedo ballare, che mi saluta e m’incoraggia. Un sorriso può fare veramente molto quando si corre già da tante ore. Attraversato un tratto di centro urbano, si passa attraverso una pineta dove vengo anche investito da una bici che accompagna un atleta. Cado, mi rialzo e corro per altre tre ore. Quando è ormai quasi buio decido di prendere i manicotti, lo scaldacollo e la luce per la notte. Prima di ripartire mi sdraio un po’ sull’erba, sotto un albero e mi addormento un po’.
Poco dopo riparto sempre con tranquillità assoluta, riprendendo la mia marcia. Per lunghi tratti si costeggia una ferrovia dove transitano treni molto vecchi che hanno il sapore del tempo che fu. La mia mente, a torto o a ragione, mi porta a pensare alla seconda guerra mondiale, quando milioni di persone innocenti venivano deportate nei campi di sterminio. Dopo un po’, anche la fortuna inizia a guardarmi in faccia perché sulla mia strada incontro due francesi: Juan e Gilles, quest’ultimo appena reduce da mille chilometri corsi qualche giorno prima della gara e per non farsi mancare niente anche dieci volte finisher alla Spartathlon, sei volte all’UltraBalaton e alla Nove Colli Running. E’ stanco, ma molto sicuro di sé, il transalpino. Formiamo un bel trio, parliamo un po’, cerchiamo d’allentare la stretta della fatica. Ormai è notte, la temperatura dai 42/43 gradi diurni scende a 22/24. Nonostante l’escursione termica, il caldo c’è e si sente. Usiamo questa tattica di gara: usciti dai ristori, camminiamo cinque minuti, poi una leggera corsa fino all’altro check point. Nei tratti dove si va al passo, sono loro che mi tirano, quando invece c’è da correre mi metto alla testa del gruppetto e faccio l’andatura, preoccupandomi di non staccarli. Le soste ai ristori sono ogni due brevi, una un po’ più lunga. Tattica che si rivelerà vincente.
Figura fondamentale durante la nostra corsa è la moglie di Gilles, sempre pronta ad assisterci e a coccolarci. Lungo la notte il passaggio davanti ai ristoranti e ai locali notturni ci tiene svegli. Il percorso, in gran parte su pista ciclabile, è sempre ben segnalato e difficile da sbagliare. Ormai è quasi l’alba. Siamo ad un ristoro e bevo un bel caffè per la prima volta da quando sto correndo. Ripartiamo, ancora qualche minuto ed il cielo inizia a colorarsi d’azzurro, mentre il sole comincia già a pizzicare. La nostra tattica varia di poco, concedendoci più cammino che corsa. Mancano circa sessanta chilometri al traguardo. Col nuovo giorno però cambia in me qualcosa, la tranquillità si accompagna ad una forte determinazione, lo sguardo diventa cattivo. Gli occhi della tigre, adesso ho gli occhi della tigre! “Voglio solo il traguardo e bramo per quello. Il tempo e i chilometri passano, è cambiato anche lo scenario, ora si vede anche il lago. Inizia di nuovo il caldo soffocante. Ma, idratandoci bene e spugnandoci ancora meglio, debelliamo qualsiasi problema. Arriviamo a 19 chilometri dal traguardo e decido di cambiarmi. Gli indumenti del giorno prima lasciano il posto a nuovi capi puliti, più freschi e... sponsorizzati!
All’improvviso, però, la moglie di Gilles si avvicina seria e ci dice che stiamo andando, proseguendo così, fuori tempo massimo perché è convinta che il close fosse dato alla trentesima ora di corsa. Ci guardiamo in faccia, siamo sicuri che la signora si stia sbagliando, però la stanchezza e la continua insistenza della donna ci fa venire qualche dubbio: “E se avesse ragione?” Inizio ad innervosirmi un po’, non posso arrivare al traguardo e farmi sbattere la porta in faccia, non voglio! Decidiamo di recuperare per stare sotto le trenta ore, Juan però è poco reattivo, Gilles se ne accorge e non lo molla, anche io rallento e resto con loro. Non posso andarmene, abbiamo fatto più di cento chilometri insieme. Mi viene da piangere perchè so che potrei farcela. Gilles, a otto chilometri dal traguardo mi ferma, mi abbraccia e dice: “Vai Cirinho, se hai qualche dubbio è meglio che tu vada. Io sono sicuro delle trentadue ore, tu no. Vai, amico e grazie di tutto!” Aspetto Juan, abbraccio anche lui e parto come una scheggia, per farvi capire in otto chilometri gli ho dato 59 minuti (ma questo non conta).
Ormai solo un ristoro manca alla fine, lo passo, non mi fermo neanche. Due chilometri. Una lunga e ripida salita e poi gli ultimi mille metri. E’ domenica, mancano quasi tre, quattro minuti a mezzogiorno, ho il cuore che mi pulsa al massimo, è la gioia d’avercela fatta un’altra volta. Sono felicissimo, volo, l’ultima discesa ripida prima del traguardo e il gps segna 3'24’’ al km, la gente applaude, urla. Vedo il traguardo azzurro, azzurro come il cielo e bello come il mare. Voglio solo lui. Eccolo, trenta,venti, dieci, cinque metri: “Siii!”. Urlo, m’inginocchio e guardo in alto. Inizio a piangere, ce l’ho fatta. 29 ore 57 min. 33 sec. Al traguardo è stato fantastico incontrare gli altri finishers ed i loro accompagnatori.
Vedere gli altri arrivi è stato ancora più emozionante, il sapere cosa abbiamo sofferto per essere li in quel momento mi ha toccato il cuore. E’ stato difficile poi nascondere le lacrime quando Giacomo e Alessandro hanno oltrepassato il traguardo. Ho aspettato anche i miei due amici francesi e vedendoli da lontano sono corso verso di loro. Ci siamo abbracciati in una stretta infinita. Ci siamo guardati negli occhi e nessuno parlava, ma in quel silenzio c’era tutto: fatica, emozione, rispetto e ringraziamenti. Signori, questo significa essere un ultrarunner. Dopo aver bevuto qualche litro di birra e mangiato una decina di ghiaccioli son tornato in albergo.
Cerco Marco, ma lo vedrò solo dopo qualche ora quando mi racconterà della sua odissea. Era in terza posizione, è svenuto (ma non si ricorda) e si è risvegliato in ospedale a sessanta chilometri, con tre flebo nelle vene e col viaggio di ritorno da fare a sue spese. Intanto, posto su un social network la mia contentezza, ma anche la mia enorme delusione derivata dal fatto che m’ero praticamente ritirato. No, questo non mi andava giù assolutamente. Dall’Italia, però, alcuni amici mi facevano capire attraverso i numeri che dovevo essere solo contento di come fossero andate le cose. 202 partecipanti, 34 arrivati al traguardo ed io ventesimo. Praticamente solo il 15 % dei partenti era arrivato a completare il periplo del lago capovolgendo quelle che erano le percentuali degli altri anni.
La sera, come se non aversi corso per quasi trenta ore, io e Marco ci regaliamo un’altra passeggiata di otto chilometri con salite annesse per andare a riprendere, alla partenza, le sacche del forte atleta. Io cammino benissimo, non ho dolori muscolari, così come non ne ho avuti lungo la gara Non ho neanche una vescica e le caviglie non sono gonfie (grazie anche alle mie scarpe). Arrivati al ritiro sacche, una bella ragazza bionda mi riconosce e mi dice :”Ti ricordi, ti ho versato il caffè stamattina”. Un sorriso e poi le chiedo se posso rimanere a cena con lei intanto che Marco era intento a cercare le sue sacche. Questa donna mi ha regalato momenti fantastici, sguardi meravigliosi e una tenerezza infinita. Ritorniamo in albergo giusto in tempo per vedere il finale della debacle azzurra contro le furie rosse spagnole. Il giorno dopo, partenza per Milano e addio UltraBalaton. Addio, perché, anch’io come Paganini, non concedo mai il bis.
Voglio ringraziare come sempre chi mi ha permesso di correre questa gara: la mia società (Reggio Event’s), il mio allenatore (Vincenzo Esposito),il mio sponsor e tutti gli amici che mi seguono con simpatia non facendomi mancare mai il loro supporto.
Ultimo aggiornamento (Lunedì 09 Luglio 2012 11:33)
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Una vita per sognarla, due secondi per innamorarsene, tre mesi per prepararla, quattro distanze per mettersi alla prova, cinque notti di luna piena…
E’ andata in scena la 1^ edizione della Sei giorni del Pantano, attorno all’anello che circonda l’oasi del WWF, a Pantano di Pignola (PZ). E’ stata una bel sorgere, sei giorni meravigliosi a vedere l’alba sorgere e il sole tramontare, mentre la notte a rischiarar la strada dei quasi 50 partecipanti a tutte le distanze, la luna piena che rischiarava la strada agli atleti. Provenienti da tutta Italia e dell’estero, come il francese Franck Derrien, giovanissimo (soli 26 anni), amante delle lunghe distanze, un Forrest Gump in piena regola, reduce da un’altra sei giorni svoltasi ad Antibes tre settimane prima. Il 30 giugno è partita l’avventura umana e sportiva con le distanze della Sei giorni, ad essa associata la 24 ore, la 48 ore, la 72 ore. In Italia le lunghe distanze si stanno affermando sempre più, tuttavia, per ora, si sono fermate alle 24 ore.
L’uomo dei deserti, il dottor Pasquale Brandi, è riuscito nella realizzazione del suo sogno: portare in Italia una manifestazione sulle lunghissime distanze come la Sei giorni, nella quale si sono cimentati ben 18 atleti, di cui 17 italiani e 1 francese. Di essi, soltanto tre sono esperti di ultramaratone a giorni, gli altri si cimentavano per la prima volta in una esperienza simile. Un’esperienza umana e sportiva molto arricchente, perché bisognava dividere e condividere ogni cosa, dai bungalow dell’Oasi ai pasti. Sei giorni meravigliosi, ove incredibilmente tutti i 18 partecipanti alla 6 Giorni del Pantano sono arrivati alla fatidica 144esima ora, acquisendo legittimamente il titolo di "Signori dell'Anello" di asfalto e ghiaia che circonda le sponde del Lago Pantano.
Il vincitore della 24 ore è venuto dal Friuli, esperto di esperienze estreme, Giacomino Barbacetto, e al femminile, la molisana Giovanna Zappitelli. Sulla 48 ore vittoria del toscano che vive e lavora sul Monte Amiata, Massimo Taliani e della professoressa d’artistico, Adele Rasicci, di Reggio Emilia, esperta di lunghe distanze sulle montagne italiane e andaluse. Una sola concorrente sulla distanza della 72 ore, distanza non ufficiale, ove si è imposta Raffaella Gada, pugliese.
Ma le sorprese e le emozioni sono state tutte per la sei giorni e per i suoi partecipanti, che, fra le altre cose, hanno creato un clima amichevole e canzonatorio, pungendosi a vicenda, quanto è bastato per dare alla manifestazione quel quid di professionismo e serietà.
Alla sua prima edizione, alla Sei giorni del Pantano è stata un’autentica pioggia di record e miglior prestazioni italiane. Ad aprire le danze dei record, la pugliese azzurra di ultramaratona, Luisa Zecchino, Podistica Massafra, che allo scoccare delle 48 ore ha totalizzato ben 264,555 km, battendo il precedente record femminile sulla distanza conquistato giusto due mesi or sono, in terra ungherese, dalla bolognese Monica Barchetti. Ma un dolore acuto al piede e altri acciacchi hanno costretto l’azzurra Zecchino a rallentare nelle successive giornate. Terminerà vittoriosa la sua corsa, dopo sei giorni totalizzando 636,072 km, e giungendo seconda assoluta. La vittoria assoluta è andata all’italo-rumeno Vasile Frigura che in sei giorni ha macinato 665,467 km. Al terzo posto assoluto il finanziere di Fano, Paolo Aiudi, con 629.053 km. Quarto assoluto il francese Franck Derrien con 627.014. Quinto il pugliese Francesco Abitino con 564.384 km. Sesta, seconda femminile, la piemontese Marinella Satta che ha totalizzato 537,009 km, realizzando la Miglior prestazione italiana di categoria F50, che resisteva da ben 10 anni. Al settimo posto assoluto il lupo di mare, marchigiano, Francesco Capecci, il primo oltre i sessantacinque anni che si è cimentato in questa impresa, realizzando la prima Miglior prestazione italiana con 513,493 km. E’ doveroso citare in questa occasione che a competere con Capecci, anche il potentino della Podistica Amatori Potenza, Giuseppe Adriatico, che ha totalizzato 430,437 km. Sono stati molti i lucani che si sono cimentati per la prima volta in manifestazioni di ultradistanza oltre i 100 km e la loro risposta positiva è un incentivo maggiore a proseguire in tale direzione. Terza donna, decima assoluta, Angela Gargano con 472.340.
L’altra miglior prestazione italiana è stata ottenuta dalla friulana Giuliana Montagnin, nella categoria F55 con 411,530 km percorsi nell’arco dei sei giorni. E’ stata davvero una bella manifestazione ed una bella festa finale con una torta che riproduceva il logo della manifestazione. Il ringraziamento doveroso va a tutti i volontari delle associazioni potentine che hanno contribuito alla realizzazione pratica dell’evento, alla fribosi cistica al quale è andato il ricavato della manifestazione, a tutti i volontari, che per ore e ore sono rimasti sotto il sole a servizio, ai ragazzi dell’Oasi, agli sponsor che hanno permesso tutto questo, soprattutto quelli locali, un grazie e un arrivederci alla prossima edizione.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Luglio 2012 18:37)
E’ stato aggiornato l’elenco 2012 degli atleti di interesse Nazionale per l’ultramaratona, seguiti dalla Commissione Raduni IUTA (coordinatore Nicola Tiso). Nella lista stilata dal Coordinatore Tecnico federale Scevaroli, in collaborazione con i consulenti tecnici di specialità, Riccitelli (100 km), Marchesi (24h) e Vedilei (UltraTrail), sono stati inseriti i seguenti atleti: Diego Ciattaglia e Paola Sanna (100 Km); Vito Intini e Sara Valdo (24 ore); Fabrizio Roux, Sergio Vallosio, Matteo Lucchese, Filippo Canetta, Giuseppe Marazzi, Sonia Glarey e Marcella Belletti (UltraTrail).
Ecco qui di seguito l’elenco aggiornato (in ordine alfabetico) per le tre specialità: 100 km, 24 ore ed Ultratrail.
100 km – uomini (18) Armuzzi Antonio; Bernabei Andrea; Bertone Silvio; Boffo Marco; Bravi Paolo; Calcaterra Giorgio; Caroni Francesco; Ciattaglia Diego; Cudin Ivan; Di Cecco Alberico; D’innocenti Marco; Soufyane El Fadil; Evangelisti Michele; Fattore Mario; Giusti Daniele; Palladino Daniele; Sestito Leonardo; Trentadue Vincenzo.
100 km – donne (18) Alcherigi Katia; Borzani Lisa; Galimberti Barbara; Carlin Monica; Casiraghi Monica; Ceretto Sonia; Di Vito Lorena; Fossati Maria Ilaria; Gizzi Noemy; Marin Francesca; Orsenigo Roberta; Sanna Paola; Simsig Elena; Tosi Nadia; Villella Maria Grazia; Zantedeschi Cristina; Zanardi Marina; Zecchino Luisa.
24 ore - uomini (13) Accorsi Andrea; Baggi Marco; Barichello Gastone; Bonfiglio Marco; Cudin Ivan (*); Di Toma Diego; Gross Ulrich; Intini Vito: Marchesi Tiziano; Montagner Stefano; Rovera Paolo; Tallarita Antonio; Vannucci Marco.
24 ore – donne (10) Agostini Giancarla; Barchetti Monica; Casiraghi Monica (*); Di Vito Lorena (*); Fossati Maria Ilaria (*); Gross Annemarie; Moling Monika; Oliveri Virginia; Pari Paola; Valdo Sara.
Ultra Trail – uomini (17) Canetta Filippo; Caroni Francesco (*); Cavallo Giuliano; Fedel Silvano; Fornoni Daniele; Ghezzi Matteo; Granzotto Fabio; Lucchese Matteo; Marazzi Giuseppe; Roux Fabrizio; Ruzza Stefano; Tagliaferri Massimo; Trincheri Lorenzo; Vallosio Sergio; Zanchi Marco; Zanotti Franco; Zarantonello Marco.
Ultra Trail – donne (11) Arrigoni Giuliana; Belletti Marcella; Bertasa Cinzia; Canepa Francesca; Carlini Alessandra; Fori Katia; Glarey Sonia; Mora Cecilia; Oliveri Virginia (*); Pensa Patrizia; Zantedeschi Cristina (*).
(*) atleti presenti in altra specialità
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(Foto di Roberto Mandelli - Podisti.Net)
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Ultimo aggiornamento (Venerdì 06 Luglio 2012 10:23)
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