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Ultra - Aprile 2012

Tista Marchesi: a 600 metri per pregare

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

Dai forza! Spingiamo, quasi ci siamo. Ma lei non ne vuole sapere, la salita è ostica per tutti. Scricchiola, dondola di qua e di là, sgomma, arranca, ma cos’è? E' la bicicletta che segue Tista, lei fa il portaborse, ma non è stipendiata come quelli che lavorano al ministero. Oggi però batte la fiacca, di faticare proprio non ne vuole sapere. Per sdebitarsi, Tista gli dà pure una spinta, e che spinta, vuole portare lassù anche lei, al santuario della Madonna della Ceriola di Montisola, anticamente battezzata “Santa Maria de Curis”, per via della sua effige scolpita su un ceppo di cerro.“Avevo fatto il voto che sarei ritornato”, precisa Marchesi, “non ho fatto il marinaio, le promesse sono abituato a mantenerle. Ecco perché in questa prima settimana, ci sono salito ben due volte.”

Ci voleva una ricarica spirituale, “non servono solo le gambe”, dice Tista, “è lo spirito il vero motore che mi dà la forza di proseguire; in questa chiesetta ho trovato ciò che cercavo. Prima di uscire ho voluto lasciare un mio regalo: i cinquemila chilometri sinora percorsi, la mia prima fatica che sarà religiosamente custodita.”

Scende soddisfatto, la giornata soleggiata dopo le burrasche delle scorse settimane gli riscalda il buon umore. Se ne accorge ad Olzano un giovane e spiritoso panettiere trentacinquenne, Marino Ziliani, che tiene tanta voglia di parlare e di scherzare.

“Col mio furgone,” dice, “porto il pane in tutta l'isola, incontro tante di quelle donnette che...”. Schiacciando l'occhio sinistro ci confida: “non sono ammogliato e per questo mamma mi dice sempre: “O Marino, figlio mio, perché non metti la testa a posto?” Risponde tosto l'interpellato: “La testa a posto ce l'ho, la donna purtroppo no. La mia speranza è in Tista,sono certo mi porterà fortuna. Le aspiranti leggendo la mia storia, se la faranno a spallate per rubarmi il cuore.” Al Marchesi, tra il perplesso e il divertito, gli si rizzano non le orecchie come i cani quando puntano la preda, ma solo quei quattro canuti capelli rimasti.

“Caro ragazzo, se riuscirai nella tua ‘impresa’, vorrà dire che mi inviterai a nozze, a novembre però.” Una bella risatona giunge spontanea per sciogliere l'adunata.

Gli accade spesso di essere fermato, ma che sia una papera con tredici paperelle, beh, è' difficile da credere! Invece è proprio vero. Se loro non possono parlare, è il Sior Pino che parla per loro, bloccando Battista per un momento: “Lo sai perché questi anatroccoli nuotano sempre vicini alla loro mamma? Hanno paura di essere ‘rubati’, ogni tanto ne manca uno, se lo frega qualcuno.” “Credevo che le mani lunghe - risponde Tista - le avessero solo quelli che tutti i giorni finiscono sui giornali e, invece, abbiamo veramente toccato il fondo, ma non del lago.”

Lasciate le papere al loro destino, Battista continua a correre sull'argine del lago, forse troppo vicino, potrebbe inciampare e cadervi, qualcuno obietta. Esatto, ma Marchesi sa bene quello che fa, non lascia nulla al caso, la zona la conosce bene. La strada è in leggera pendenza verso il lago, lui preferisce correre sull'argine in piano per non prendere una brutta piega. Piccoli trucchi che sino ad ora gli hanno permesso di superare i quindicimila metri di dislivello”approssimativamente” senza particolari problemi o conseguenze.

La sua proverbiale empatica sintonia con i Montisolani è nota. E' iniziata nel 2009 dopo il primo sbarco e si è mantenuta nel tempo. “La gente del posto non è cambiata, è brava gente che riesce a farmi sorridere anche quando non ne avrei voglia. Inconsapevolmente sono loro che mi aiutano ogni giorno. Spero - dice Tista - questa volta di lasciare un'impronta più tangibile del mio passaggio rispetto al passato, un'impronta che rimarrà nel tempo”.

Tista Marchesi: 19100 km no stop per nove mesi (Racconto n.10)

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Antonio Tallarita in corsa alle Sei giorni di Ungheria

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

In un solo anno, ha macinato più chilometri lui di chiunque altro! Dal 2 giugno 2011, per sei giorni consecutivi, ha corso da Torino a Roma ininterrottamente, per circa 720 km, compresi gli errori stradali! Pochi mesi dopo, in ottobre, dopo il campionato di 24 ore svoltosi a Fano, si è profuso nella “performance” della 10%=1.000 km, ovvero come correre 100 km al giorno in dieci giorni consecutivi, dormendo di notte. Parliamo di Antonio Tallarita, ingegnere reggiano, azzurro della 24 ore, che corre con la maglia della Podistica Biasola di Reggio Emilia. La sua 1.000=10 gg, pur non essendo miglior prestazione italiana (quella spetta a Lucio Bazzana, ex azzurro), in realtà gli è servita per entrare nel GWR, ovvero nel Guinness World Records. Dopo la modesta prova alla Endurance 24 ore Ultrarun Helsinky, del febbraio scorso, ove Tallarita in realtà è ritornato più in veste di allenatore che di atleta, siamo arrivati a maggio 2012, e l’ingegnere è pronto ad affrontare una nuova “sfida con se stesso”: la 48 hour & 6 day International Ultramarathon Challenge, sulle rive del lago Balaton.

Più precisamente, da mercoledì 9 maggio, con partenza ore 12.00, fino al martedì 15 maggio, ore 12.00si svolgerà in Ungheria la gara podistica denominata “International 6 day Ultramarathon Balatonfured”. La manifestazione rappresenta uno degli eventi sportivi più importanti al mondo nel panorama del’Ultramaratona. In una pista asfaltata lunga 900,05 metri, ricavata all’interno di un campeggio posto sulla sponda ovest del lago Balaton, nella bellissima e turistica cittadina di Balatonfured, 56 atleti di 14 nazionalità diverse si affronteranno per 6 giorni di corsa continua. Vince, ovviamente, l’atleta che ha percorso più giri ovvero più chilometri e quindi chi meglio ha saputo gestire tempi di corsa, alimentazione e tempi di recupero tra una giornata e l’altra.

Tra i 56 partecipanti spicca la presenza di ben 5 atleti italiani (4 uomini ed una donna) tra cui, appunto, Antonio Tallarita che sarà accompagnato dal Dott. Roberto Citarella, Direttore Sanitario del CTR di Reggio Emilia, e del fratello Salvatore che lo hanno seguito nei precedenti impegni internazionali. Tallarita, nella 6 giorni di Balatonfured, tenterà di stabilire il nuovo primato italiano della corsa superando l’attuale Miglior Prestazione Italiana di 754 km ottenuta ad Atene nel 2010 dall’atleta bergamasco, Lucio Bazzana, già azzurro della 24 ore. Per ottenere il nuovo Primato Italiano, l’atleta reggiano dovrà percorrere almeno 126 km al giorno.

“Per partecipare a queste competizioni”, dice Antonio Tallarita, “occorre molto allenamento ed una preparazione fisica-tecnica-medica che permetta di superare i limiti a cui si è abituati a ragionare. Si tratta di gare particolarmente dure e logoranti sia sotto il profilo fisico sia psicologico in cui entrambi i fattori giocano un ruolo determinante. In queste gare La presenza del medico diventa indispensabile sia nella fase preparatoria (evitare traumi correndo con postura non regolare a causa di affaticamento muscolare) sia nella fase competitiva per accelerare il recupero ed evitare rischi di traumi permanenti”.

L’idea di partecipare alla Sei giorni di Ungheria venne nel mentre era in corso al Torino-Roma, quando andava concretizzandosi la vittoria finale e la consapevolezza che i 700 e passa km erano alla portata di Antonio Tallarita.

Ricordiamo gli atleti che in Italia hanno fatto meglio nella prova dei Sei giorni; infatti, nel lontano 2004, ben quattro italiani, fra cui una donna, la prima a cimentarsi in queste lunghe distanze, la pioniera dell'ultramaratona in Italia al femminile, Maria Teresa Nardin, "sbancarono" la 6-Tage-Lauf Erkrath, che si svolse dal 1° all’8 agosto in Germania: Lucio Bazzana con 741,457 km, 4° posto, subito dietro, al 5° posto, Antonio Mazzeo con 726,644, al 7° posto Vincenzo Tarascio, 702,223 km percorsi nell’arco di sei giorni. Maria Teresa Nardin si classificò al 21esimo posto assoluto e quinta donna, prima della categoria W50, con ben 505,248 km percorsi. Il grande Lucio Bazzana, da par suo, assaltò più volte la distanza dei Sei giorni, finché nel 2010, in occasione dell’Ultrafestival di Atene, all’epoca denominata 1.000 Miles World Cup Athen, realizzò la miglior prestazione italiana sulla distanza siderale, prima della Sei giorni e poi della 1.000 miglia, ovvero 1.609 km, percorsi nell’arco di 14 giorni, 7 ore, 23 minuti.

Sullo splitz della Sei giorni, Lucio Bazzana realizzò la MPI con 754 km.

Questo è il limite che Antonio Tallarita ha in testa, è questo il limite da assaltare e da tener presente in questi 6 giorni. E allora non possiamo che augurare i migliori auspici a lui e agli altri 4 atleti italiani iscritti alla Sei giorni, di cui 4 emiliani e un friulano, fra cui Giovanni Piscopo, dell’Atletica Manara, alla sua seconda prova sulla distanza, dopo la 6 Jours d’Antibes, nel giugno 2011 con 451 km percorsi.

A partire da mercoledì 9 maggio, dunque dalle ore 12.00 aggiornamenti sull’andamento della gara potranno essere seguiti collegandosi direttamente al sito della manifestazione http://www.unixsport.hu/48h6dayrace/ e, per l’Italia, aggiornamenti quotidiani, anche sul sito istituzionale della IUTA www.iutaitalia.it

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Nurburg (D) - Fisherman's Friend Strongman Run 2012

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

Marchini_Dario_Nurburg_Fisherman_s_Friend_Strongman_Run_2012Folle. Credo che folle renda bene l’idea di ciò che è stata questa Fisherman’s Friends Strongman Run 2012. Dura non era sufficiente. Come non era sufficiente chiamarla corsa. “Run Through Hell” dice il motto di quest’anno. Una settantadueore fatta di tanti ingredienti, dallo sport all’amicizia, dalla fatica alle emozioni, dalle scoperte alle conferme. Un turbinio di sensazioni che si sono accavallate, attorcigliate, assemblate. E non è possibile scindere una cosa dall’altra, provare a raccontarne una parte. Lo scorso anno avevo esordito dicendo: “Siamo partiti come Runners, siamo tornati da Strongman”. E quest’anno ne ho avuto la conferma: una volta provata è una corsa che ti rimane nel cuore, come gara e per tutto quello che c’è attorno. Guardando le fotografie chiunque direbbe: “Ma siete pazzi!” e un po’ lo siamo stati. Pazzi, incoscienti, disperati. Folli. Ma in fondo siamo tutti solo runners, con la sola peculiarità che non ci accontentiamo mai. Ci piace. E ci piace farlo. Divertendoci.

Credevo che l’esperienza dello scorso anno, la mia prima volta, non sarebbe stata replicabile. Mi era sembrato tutto così perfetto, irripetibile. Eravamo in venti, quest’anno in più di quaranta. Partenza alle 4:00 di notte. Io arrivo con Franco, mio compagno della Martesana Corse. Ci ritroviamo un’ora prima, in venti, sotto casa di Manlio, quasi tutte facce sconosciute. Eppure è quasi già come se ci conoscessimo. Qualcuno già rodato, qualcuno novello, qualcuno conosciuto solo virtualmente. Baci e abbracci, e una vociare che avrebbe svegliato tutto il quartiere se non ce ne fossimo andati subito. Le dieci ore di pullman successive verso la Germania sono state l’inizio della nostra storia. Il programma prevede una week-end non-stop fino al ritorno. Solo a leggerlo mi sono quasi sentito stanco: viaggio, festa pre-gara, gara, festa post-gara, ritorno. Il sonno non era compreso, se non a manciate sporadiche. E fortunatamente negli ultimi giorni mi ero ben allenato anche ad affrontare ettolitri di birra e chili di salsicce. Il tempo alemanno ci ha dato subito il benvenuto quasi arrivati a destinazione. Pioggia e temporali, cielo grigio e freddo. Ma noi siamo strong. In albergo troviamo già i nostri pacchi gara preparati ed in ordine e per prima cosa ci vestiamo subito con la nostra felpa d’ordinanza, l’invidia di Daniele (Spritz, nda) che da due anni la sogna. Questa volta ho avuto l’onore di essere io nella Squadra A, quella privilegiata. Mentre anche tutti gli altri vanno a sistemarsi nei loro alberghi, insieme ad Andrea T., Mirco e Tito C. prepariamo le divise per la squadra GRC-Italia, con il tricolore. Insieme ad Andrea T. seguo poi le orme di Tito T. e ci facciamo un’uscita di una ventina di minuti per sciogliere un po’ le gambe. Il cielo decide subito di farci capire come sarà la gara il giorno successivo e ci accoglie con il primo di una lunga serie di temporali. Facciamo anche in tempo a dare il benvenuto a Chiara che, seppur tedesca di adozione, non riesce a trovare l’albergo giusto girando per l’intera regione del Nurburg. La sera, alla festa pre-gara, memore della prestazione di Andrea M. dello scorso anno, decido di seguirne l’esempio accantonando la pasta e buttandomi sulla birra. D’altronde ogni paese ha le sue regole. Di dormire non se ne parla. La tensione è salita man mano che ci siamo avvicinati, sia temporalmente che chilometricamente, alla gara e sono l’ultimo insieme a Tito T. ed a Chiara a ritornare in camera.

Una delle cose belle della Strongman Run è l’orario di partenza della corsa, alle 12.00. Quando mi alzo la prima cosa è guardare fuori dalla finestra, cielo grigio, ma niente pioggia. Anche la temperatura non sembra freddissima. Ma il tempo di scendere per il ritrovo e sembra di essere a novembre. Ci accoglie un nebbione fitto e umido e una temperatura che non supera gli 8-9°C. Ma siamo strong, non ci possiamo lamentare. Siamo tutti in divisa-tricolore ed è un gran bel vedere. Anche un’emozione, se pensiamo che stiamo rappresentando la nostra nazione. Qualche trucco allegorico, sempre tricolore, e poi foto di gruppo, Gruppo Italia - Gazzetta Runners Club. Nessun’altra nazione, a parte i padroni di casa, può vantare un gruppo così numeroso. Andiamo verso i paddock e qui ci dividiamo. I privilegi della Squadra A sono anche quelli di avere un’area vip alla partenza in cui stare al caldo. Andrea M., nostra prima stella lo scorso anno, da forfait per problemi di salute, ma ci aspetta tra il pubblico. Manlio invece si prodiga per farci partire dalle prime file facendo inserire me, Tito T., Andrea e Pier tra i top-runners. In realtà solo Tito lo è davvero, ma ne approfittiamo per fare una bella gara. Il resto del gruppo entra nelle gabbie pre-partenza e noi rimaniamo soli con Valentina, Silvia e Daniela, responsabili della Fisherman’s Italia. La partenza viene posticipata di mezz’ora per sicurezza causa nebbia e fuori non sembra che il tempo abbia intenzione di facilitarci le cose. Noi intanto rimaniamo al caldo. Dieci minuti prima del via ci accompagnano in primissima fila, appena sotto lo striscione del via. Mi ritorna in mente la Maratona di Milano di tre settimane fa. Sarà stata la tensione, la concentrazione o la sgambata del giorno prima, ma la stanchezza che avevo avuto negli ultimi giorni sembra scomparsa. Facciamo un po’ di riscaldamento nel primo tratto di pista del Nurburgring e poi ci fanno sistemare al via. Davanti a me ho i due atleti, svizzero e svedese, che si sono giocati il titolo negli ultimi tre anni. Telecamere e fotografi sono tutti per loro. Faccio qualche smorfia-strong e uno dei fotografi presenti mi prende di mira, incitandomi a continuare mentre mi immortala con una serie infinita di scatti. Sarà anche perché sono uno dei pochi lì davanti che è truccato anche in faccia. Inizia il countdown e si parte sotto una vampata di fuoco. Tito T. e i top prendono subito il largo, ma riesco a tenere bene il passo ed a rimanere a pochi metri di distanza, una decina dietro a loro. Seguendo i suggerimenti dettati dalla sua esperienza mi sparo i primi cinquecento metri a 1’ 25” per rimanere il più avanti possibile. Alla prima curva rallento un po’ e li lascio andare, ma intanto un bel po’ di vantaggio ce l’ho, soprattutto per arrivare libero ai primi ostacoli. Controllo il cronometro ai primi due chilometri, quasi tutti su asfalto e sono appena sopra i 6’ 40”. Poi inizia la vera Strongman Run. Entriamo nell’area del campeggio, passando sulle collinette in mezzo ad un piccolo boschetto dopo aver passato la gradinata del circuito e, quello che doveva essere un semplice saliscendi sterrato, diventa un ostacolo improvvisato, dovendo lottare con il fango per riuscire a rimanere in piedi. Le gambe sono già ricoperte di terra e le scarpe marroni. Continua a piovere in modo imperterrito. Non so quanti mi sono davanti, ma non molti, e vicino a me non siamo in tanti, anzi. Abbiamo già preso un buon margine sul grosso del gruppo. Al primo ostacolo dico addio ai piedi asciutti. Tre vasche d’acqua alta un metro in sequenza e poi la scalata di una parete fangosa con le corde. Indenne. E intanto mi sono anche già fatto un’idea della temperatura dell’acqua. Il secondo ostacolo è veloce. Passiamo in mezzo ad una rete metallica piena di fumo. In realtà non ce n’è molto, un po’ aiutati anche dal vento che soffia a favore nostro ed alle cataste di legna che sono state appena accese. Mi accorgo che il percorso è identico a quello del 2011. Solo che non me lo ricordavo così duro. Nella prima parte corriamo tutto in sterrato su e giù da una collina. La velocità ne risente. Il continuo andare e tornare mi da anche la possibilità di dare un occhio alle spalle. Per vedere la situazione dietro di me e mi sembra di avere un buon margine. Guardando però il percorso capisco anche che, questa volta, sarà un elemento di fatica in più. E me ne accorgerò nel secondo giro. Il terzo ostacolo, un muro di legno di due metri e mezzo, è veloce. Le gambe invece cominciano a sentire la fatica per salite e discese. Passiamo prima una serie di montagnette di ghiaia, poi una serie di dune di argilla, scivolose e appiccicose. Non ha più senso guardare il cronometro vista la situazione e non avendo reali riferimenti. Al quarto ostacolo mi accorgo di come la pioggia abbia reso tutto più duro. Dobbiamo strisciare sotto delle reti metalliche alte mezzo metro. Ma il fango che doveva riempire il terreno è già diventato una poltiglia marroncina e molliccia in cui si affonda con mani e gambe. E trenta metri non sono una passeggiata. Le ginocchia sono le prime a lamentarsi ogni volta che le picchio contro qualche masso nascosto. Esco e, mentre riprendo un attimo fiato, sfilo i guanti ormai fradici e solo fastidiosi e li abbandono al loro destino. Ancora sterrato e ancora salita. Faccio fatica ed ho paura che ormai mi stiano riprendendo in tanti. La pioggia a tratti aumenta ed a tratti diminuisce. Ancora non siamo arrivati alla piscina eppure sono bagnato dalla testa ai piedi. Salgo per la lunga striscia asfaltata che ci sta riportando verso la parte centrale del circuito e incrocio il cartello del sesto chilometro. Forse era meglio non vederlo. In cima, dopo novecento metri, ci aspettano tre muri di balle di fieno da scavalcare. Sempre in salita. Mentre mi avvicino, cerco di capire come meglio affrontarli visto che le gambe sono già ben sottoposte ad un buono sforzo. Decido di provare a rotolarci lanciandomi sul fianco e la tattica riesce alla perfezione, senza fatica. Finalmente un po’ di discesa fino alle tribune dove c’è lo scivolo ad acqua, sembra di essere al Caneva, con la sola differenza che l’acqua è ghiacciata. Ma almeno ho ripulito un po’ le gambe dal fango. Riprendo subito e alzando lo sguardo mi trovo davanti ad una collina da scalare. Non so quanto fosse la pendenza, ma se non era al sessanta per cento, poco ci mancava. Torniamo finalmente in pista dopo una scalinata spaccagambe in discesa. Tutto falsopiano e curve, ma almeno in lontananza si rivedono i paddock e l’arrivo. Comincia a vedersi ed a farsi sentire il pubblico. Recupero qualche posizione con l’aiuto dell’asfalto, ma vedo anche arrivare l’ostacolo che più mi spaventa, i muri di tre metri di paglia. Lo scorso anno ero insieme a Simone che ogni volta mi lanciava, questa volta sono da solo e, soprattutto, quelli che ho davanti non credo abbiano tutta la voglia e l’intenzione di aiutarmi come succede nelle retrovie. Invece, con mia sorpresa, li passo indenni entrambi riuscendo ad arrampicarmi ed a buttarmi dall’altra parte senza perdere troppo tempo. E in lontananza, mentre corro sulla ghiaia della via di fuga del circuito, sento già il boato del pubblico raggruppato ai lati della piscina. Quaranta metri di acqua gelida.

Arrivo al bordo ed ho la tentazione di buttarmi di testa, ma resisto. Per fortuna perché l’acqua è veramente fredda. Appena entrato i polmoni si bloccano per i 5-6°C di temperatura. Provo a partire a stile, ma solo per qualche bracciata perché mi manca il fiato. Di positivo c’è che l’acqua è limpida e pulita. Alterno un po’ di rana, per riprendere fiato, e un po’ di stile. E rispetto a quelli che ho dietro prendo un buon margine. Appena prima di uscire, vedo il fotografo che mi aveva immortalato alla partenza, che mi chiama urlando “Italia!” e replica con una serie di scatti attorniato da altri quattro colleghi. Il pubblico, poi, è uno spettacolo. Da qui fino all’arrivo è una striscia continua su tutto il percorso. Sono solo e riconoscendo il tricolore sulla maglia e sul viso continuano ad urlare “Dai Italia!”, “Bravo!” e ad incitarmi. Ho i brividi, ma non per il freddo. E poi non mi faccio certo pregare per un po’ di spettacolo e quattro risate. Mi butto sui copertoni dell’ostacolo successivo senza troppa fatica fino a scalare il container che c’è più avanti. Alzo lo sguardo e devo fare una faccia tra lo sbalordito e il terrorizzato quando lo vedo, perché la gente che ho al fianco scoppia in una risata fragorosa. E ricominciano gli applausi e l’incitamento. Scavalco il container e, in perfetto stile “uomoragno”, attraverso la rete tesa a tre metri da terra cercando di non cadere tra le maglie. Poi giù dall’altra parte. Risalgo l’ultimo tratto sterrato fino alla gabbia con i fili elettrici. Le gambe sono stanche, ma provo a spingere trascinato dal calore della gente. I cavi sono agganciati agli incroci delle griglie e mi sembra di poterci passare attraverso senza toccarli girandomi sul fianco. Mi metto in posizione da egiziano e con passo felpato lo attraverso tutto. E il pubblico apprezza applaudendo e ridendo insieme a me. Arriviamo all’ultima curva del circuito dove ci aspetta il cunicolo con le gabbie alte mezzo metro per strisciare sulla ghiaia. Bagnati e pieni di terriccio, non sono piacevoli soprattutto per ginocchia e mani. Provo a passarle su mani e piedi, ma la stanchezza è troppa ed ogni tanto devo cedere ad appoggiare anche le gambe. Si ritorna verso i paddock per la sequenza di ostacoli in serie. Ancora una vasca d’acqua, ma alta solo un metro, dove passare delle travi orizzontali immergendosi. La passo agilmente fino alla sponda opposta. Provo a risalire la sponda, ma non riesco ad aggrapparmi alla corda e scivolando all’indietro ricado in acqua. Il pubblico allora inizia ad incitarmi e con un ”ooohhh-issaaaa!” mi accompagna nel secondo tentativo che mi riesce. In piedi, sul bordo, mi giro e con un inchino li ringrazio. Ci sono applausi e grida e comincio davvero a non capire più niente di quello che sta succedendo. Subito dopo pochi metri c’è la vasca del fango, l’unico vero ostacolo che sarebbe dovuto essere fangoso, ma che confrontato col resto del percorso risulta quasi più pulito. Lo passo e, prima della piramide con le balle di fieno, sento Andrea che mi incita da bordo pista e mi dice di prendere l’ostacolo con i copertoni delle auto sui lati per fare prima. Mi riporta alla realtà e mi accorgo che sto facendo un buon tempo. Davanti non vedo più nessuno e dietro sono a distanza. Passo la piramide agilmente e, alla rilevazione dell’intermedio, vedo che sono già passati 50’. Tantissimo rispetto a quanto avevo in programma e allo scorso anno. Ma questa volta clima e ostacoli hanno davvero reso tutto più strong. Ascoltando i suggerimenti di Andrea mi butto sui copertoni e li mangio in pochi secondi. Ultima scalata sulla rete per arrivare in cima ad un nuovo container, ancora copertoni e il primo giro è concluso. La gente è davvero uno spettacolo, continua a gridare e ad incitare. Me ne accorgo soprattutto quando riprendo a correre per i successivi tre chilometri senza ostacoli dove rimango solo, immerso nel silenzio della prima parte del circuito. L’adrenalina diminuisce e ritorno alla realtà. Quella di un podista con davanti a sé solo una lunga striscia di asfalto. Punto quelli davanti a me e li raggiungo poco prima di ritornare al boschetto del campeggio. E qui arriva il primo punto di arresto. La ressa dei 12000 che partecipano alla corsa ha creato un imbuto nel punto in cui la strada si stringe e c’è un lunghissimo serpentone dove tutto sono fermi e bloccati. Non so come fare a sorpassare, ma non ci penso e comincio a scalare le collinette ormai diventate uno scivolo fangoso sulle quali non ci si regge in piedi. Ho paura di farmi male quindi preferisco fare più attenzione a scapito della velocità. Anche se è quasi impossibile rimanere in piedi e non scivolare lungo le discese. Arrivo dove il blocco è più persistente. Un ragazzo a un metro da me, ancora al primo giro, cade e lancia un urlo lancinante. Giro la testa e lo vedo reggersi la gamba con tutte e due le mani. Il perone e la tibia sono tranciati di netto e lo stinco è piegato in due sul lato. Lo soccorrono in tanti e, mentre chiamano l’ambulanza, io proseguo. Comunque non sarei d’aiuto. Comincio con una sfilza di “Please! Please!” il mio tentativo di passare di lato alla massa per non perdere tempo. D’altro canto, sono al secondo giro e sono anche in buona posizione e non posso fermarmi in coda. Mi raggiunge un ragazzo svedese e alterniamo un po’ per uno nel tentativo di sfondare. Qualche minuto lo perdiamo, ma sarà comunque così per tutti. Al primo ostacolo con i tre fossati da attraversare, come immaginavo, l’acqua che al primo giro era limpida e fresca è diventata marroncina ed alta la metà dopo il passaggio di diecimila persone. Cerco di stare il più possibile sul lato per mantenere la velocità e supero. I tratti più difficili sono quelli dove la strada è in pendenza. L’erba ormai non c’è più, tantissimi scivolano di lato andando a travolgersi a vicenda. Dove riesco, provo ad uscire dai nastri che delimitano la strada per passare sull’erba che è ancora presente e si riesce a fare più presa. Intanto, penso al percorso più avanti. scegliendo le traiettorie migliori per non rimanere ingabbiato. L’ostacolo del fumo questa volta è ben avviato e vengo travolto da una nebbia fittissima nella quale non si riesce a respirare. Poi è il turno del muro di legno dove incontro Pino e la Giò ancora al loro primo giro. Nei tratti corribili la ressa si fa più scorrevole e riusciamo a non perdere secondi preziosi, ma l’arrivo all’ostacolo della vedova nera, il cunicolo sotto al quale strisciare nel fango, la situazione precipita. Quattro lunghe code di alcune decine di metri. Guardo lo svedese e con uno sguardo d’intesa scavalchiamo le fila buttandoci uno a destra ed uno a sinistra. Ci infiliamo cercando di spiegare che siamo al secondo giro in qualche maniera, mentre qualcuno ci urla contro. Ma ormai mi sono infilato e la situazione peggiora rapidamente. Se prima il fango era profondo e si affondava, con il continuo passaggio la situazione è degenerata e sembra di passare attraverso un fosso melmoso. Anche in ginocchio quasi non si riesce a rimanere fuori dal fango. Senza contare la fatica di muoversi. Quando ri-esco vedo i miei guanti abbandonati il giro precedente sommersi e ricoperti da poltiglia marroncina. Il restante tratto fino allo scivolo è abbastanza agevole. Riaffianco il ragazzo svedese e slalomiamo tra quanti sono ancora al loro primo giro. Ci perdiamo di vista solo allo scivolo dove riesco ad infilarmi prima che l’ostacolo venga chiuso in parte per la mancanza di acqua. Mi butto a capofitto e capisco perché stessero mettendo una transenna. Un bruciore sulle natiche comincia a metà della discesa fino all’arrivo nella vasca d’acqua. Ho quasi paura di essermi scorticato i pantaloncini, ma un rapido controllo mi rassicura. E’ il turno della collina e anche qui, come in precedenza, mi butto sul lato dove l’erba è ancora presente per evitare di fare un passo in alto e otto in basso. La discesa dalla scalinata è resa un po’ complicata dal fango ormai sparso su tutto il percorso. Poi… poi è il boato del pubblico. Già a distanza si sente la musica e la gente che urla e incita. Salto le pareti di fieno aiutato questa volta da chi mi è davanti. Poi corro. Prima l’asfalto, poi la ghiaia. Un nuovo tuffo in piscina dove l’acqua è diventata marrone. Mi lascio trascinare dalla gente e supero quelli che ancora sono al loro primo bagno. Piove e piove forte. Ma non ho freddo nemmeno quando fuoriesco dall’acqua. In tanti hanno le mani tese per un cinque nel passaggio. Provo a guardarmi attorno e non vedo nessuno che sia al secondo giro. Ormai gli ostacoli so come prenderli e come passarli agilmente: prima la rete sospesa, poi i fili della corrente, di nuovo sotto al cunicolo sulla ghiaia. Alla piscina delle travi questa volta non ricado in acqua e con due balzi passo la vasca del fango. In cima alla piramide di fieno guarda dall’alto l’ultimo ostacolo. Corro sull’asfalto come in tante altre corse, ma lascio dietro di me una scia di acqua fangosa. Mi ributto per l’ultima volta sui copertoni e quando arrivo in cima al container dopo la rete vedo davanti a me il rettilineo d’arrivo a qualche centinaio di metri. La nebbia lo rende sfuocato, quasi un miraggio. Lungo i lati del percorso sono accalcate centinaia di persone che quando vedono che non svolto alla deviazione del secondo giro cominciano ad urlare e ad applaudire. L’adrenalina sale e mi accorgo di aumentare di colpo il passo e la velocità mangiando l’asfalto con le gambe che salgono alte. Non sento più fatica. Sotto il traguardo rivedo il “mio amico” fotografo che mi riconosce e agita la mano urlando “Italia!”. Corro. Corro verso di lui e quasi senza accorgermene stringo i pugni e grido tutte le emozioni che sto provando passando sotto il traguardo. Fermo il tempo a 1h 53’ 08”. Una hostess mi viene in contro, mi mette la medaglia al collo mi bacia sulle guance. Vorrei abbracciarla, ma col suo completo bianco non mi sembra il caso. Mentre prendo fiato mi guardo attorno e vedo che nell’area ristoro non c’è nessuno. Lo scorso anno era piena. Dopo qualche minuto arriva anche il mio neo-compagno svedese. Ci scambiamo un saluto e un abbraccio. Intanto continua a piovere. Più che a maggio sembra di essere a novembre. Ritorno al paddock e appena entrato trovo Tito T. che si sta cambiando e Silvia e scopro di essere arrivato solo 5’ dopo di lui. Mi sembra impossibile, eppure… Usciamo poco dopo per andare a vedere la classifica e quando leggo le posizioni non ci credo: Tito T. 25°, io 34°. Primo e secondo italiano. Mi sembra davvero impossibile. Tremo un po’, ma non so se per il freddo o per l’emozione. Volevo fare bene e ci ho provato, ma non credevo tanto. E poi Tito che per me è un mito (la rima è uscita a caso, nda), lì con me a guardare i nostri tempi. Chi se lo scorda più. Certo, il merito va anche a chi mi (ci) ha permesso di essere davanti alla partenza, altrimenti non sarebbe stata la stessa cosa. Torniamo al paddock e poco a poco arrivano anche tutti gli altri. Andrea T., seguito da Pier, completa il trio per la classifica a squadre e ci posizioniamo 6° assoluti. Riesco anche a scambiare due chiacchiere con Trabuio (organizzatore della Milano City Marathon 2012 e prossimo responsabile della prima Fisherman’s Friends Strongman Run Italia, nda). Da qui inizia la mia festa del dopo-gara. Prima nel paddock ogni volta che arriva qualcuno dei nostri, poi in albergo dove arrivano notizie delle foto e del riscontro della corsa, poi alla festa serale che dura fino al mattino. Pensavo di crollare nel dopo-corsa ma mai ore di sonno sono state vissute meglio. Non riesco a vedere tutti, ma con Manlio, Andrea T., Chiara, Tito T., Mirko, Tito C., Andrea M., Valentina, George, Albino, Mariella e tanti altri tra birra, buffet e musica le ore passano in fretta. I feritisi contano poi al mattino, al tavolo della colazione. Poi rimane solo il viaggio di ritorno, con la sua stanchezza, il sonno da recuperare e la consapevolezza che tutto sta per finire. Si parla della gara, si ride dei giorni passati insieme, si progettano le prossime corse, la prossima volta. Ci si prende in giro come vecchi compagni di scuola in ritorno da una gita, ed inconsapevolmente ci si rende conto che c’è qualcosa di più che però ci lega. Un week-end da strongman. Un week-end folle.

Siamo all’epilogo, mi rimangono solo i ringraziamenti finali e li riassumo in un unico grande grazie. Grazie a chi ci ha permesso ancora una volta di passare insieme un’altra avventura. L’ennesima. E non l’ultima. A Manlio (con Valentina e Silvia della Fisherman’s) che ancora una volta ha messo insieme un gruppo fantastico (a parte qualche raro caso di pazzia sfuggito al suo controllo, nda) ed ha organizzato tutto alla perfezione. Senza il suo aiuto, prima e dopo, non avrei nemmeno potuto raccontare questa storia. Questa storia che è la mia, ma in cui c’è un po’ di Manlio, Tito, Albino, Chiara, Andrea, Mirko, Tito, Andrea, Giorgio, Daniele, Massimo, Massimiliano, Pino, Massimo, Silvia, Marco, Luca, Pierangelo, Elena, Massimiliano, Marta, Sveva, Giona, Gabriele, Gionata, Matteo, Monica, Giorgio, Franco, Alessandro, Alessandro, Arianna, Matteo, Ferdinando, Mariella, Roberto, Giovanna, Walter, Francesca, Fabio, Valentina, Silvia e Daniela.

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Ultimo aggiornamento (Martedì 08 Maggio 2012 19:52)

 

6 Ore dei Templari: corsa e non solo!

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

E come sempre accade quando si tenta di descrivere una grande impresa, il rischio di poter scadere nella retorica e nella banalità del “già visto e sentito” è dietro l’angolo.

Eppure questa volta la colpa non è solo della sottoscritta e della sua probabile scarsa fantasia, ma anche e soprattutto di chi ci ha abituato, in questi ultimi anni, a risultati sempre più inaspettati e ambiziosi!

Oddio, sicuramente inaspettati lo saranno per tutti coloro che, come me, fanno fatica anche solo a immaginarle 6 ore ininterrotte di corsa, senza dubbio invece i 227 atleti che hanno portato a termine la scorsa Domenica 6 Maggio la ormai celebre “6 ore dei Templari” non saranno giunti alla competizione impreparati poiché, quando si gareggia in questo genere di prove, l’essere sprovveduti è un lusso che non ci si può permettere.

E non a caso nella classifica dei runners che hanno tagliato il traguardo si possono riconoscere nomi ben noti al popolo delle ultramaratone, primi tra tutti quelli degli atleti che sono saliti sul podio. Un podio rovesciato rispetto alla “6 ore di San Giuseppe” corsa a Putignano lo scorso 28 Marzo che ha visto Nicolangelo D’Avanzo, della Bisceglie Running, piazzarsi davanti a tutti, lasciandosi alle spalle Vito Intini (A.s.d. Amatori Putignano), che invece questa volta ha conquistato di volata il secondo posto davanti all’atleta Cosimo Manigrassi (Massafra Marathon) vincitore, proprio davanti a Intini, della 6 ore di San Giuseppe.

Ed è nella atmosfera di questa continua ideale sfida, prima con se stessi che con gli altri, che ancora una volta l’ultramaratoneta gravinese della A.s.d. Gravina festina lente!, Michele De Benedictis, ha stupito e incantato tutti con la sua prestazione che l’ha visto piazzarsi al 26mo posto assoluto, terzo della sua categoria, con 62,454 km percorsi in sei ore, il tutto a sole 2 settimane da un altro risultato epocale, ossia il 47mo posto assoluto in classifica tra gli Open alla 100 Km di Seregno.

Sfondo perfetto della manifestazione giunta ormai alla sua quarta edizione, è stato lo splendido quanto ospitale comune di Banzi, in provincia di Potenza. Una piccola cittadina collinare sconosciuta ai più fino a poco tempo fa, ossia fino a quando proprio la manifestazione podistica, giunta ormai alla sua quarta edizione, non ha potuto far conoscere questo magnifico e, solo apparentemente, aspro territorio, con la sua storia e le sue tradizioni, anche a gente che ne era assolutamente estranea.

La corsa quindi come momento di unione, come possibilità di successo individuale e collettivo, e, perché no, come vera e propria vetrina delle nostre suggestive realtà, troppo spesso da noi stessi trascurate!

Una festa magistralmente organizzata ha poi coronato degnamente un giornata all’insegna dello sport e dell’ospitalità, ospitalità che il nostro atleta gravinese con la sua società “Gravina festina lente!” al completo, si augura di poter adeguatamente ricambiare in occasione del prossimo 10 Giugno con il “Trail delle 5 querce” che si svolgerà, primo nel suo genere in Puglia, nel Bosco Difesa Grande di Gravina in Puglia.

Preparatevi quindi ad ascoltare nuovi racconti di mirabolanti imprese!

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Tista Marchesi: arrivederci Lovere e arrivo a Montisola

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

Due valigie, due zainetti e niente altro. Questo il bagaglio che, da Lovere, Battista Marchesi si è portato sino all'imbarco di Sale Marasino. E' arrivato a pomeriggio inoltrato, si è seduto un attimo sulla panchina in attesa del battello che lo avrebbe portato a Carzano, piccolo paese di Montisola, l'isola lacustre più vasta d'Italia. Questa la cronaca del giorno.

Battista Trasborda, e in pochi minuti attraversa lo specchio di acqua che divide la terraferma. Dai suoi occhi traspare diffidenza, il suo cuore pulsa forte, il sangue gli scorre nelle vene alla velocità della luce. Lo si intuisce, il suo silenzio parla per lui. E' meglio lasciarlo solo con i suoi pensieri, in fondo ha un appuntamento con i ricordi del passato, quelli del 2009 e del 2010, quando l'isola lo ha respinto, per una frana e per un infortunio. Ora cercherà un accordo, se ne andrà solo a missione compiuta.

Smorza la sua stanchezza, nonostante la sveglia dell'una e quarantacinque. Potrebbe buttarsi sul letto appena entrato nella casa che ormai conosce bene, sempre la stessa:gli stessi mobili, la televisione che stavolta non funziona, una atmosfera di completa solitudine. Ma non c'è tempo. Apre le finestre, ha bisogno di aria nuova, quella stagnante la spinge fuori. Implodono nella sua testa i ricordi del passato che lui non ha dimenticato. E' meglio lasciarlo solo, perché è tutto concentrato.

Ha poco tempo per riposare, per fortuna prima di partire ci ha pensato Davide Gaioni, l'esperto fisioterapista loverese, a “confortargli” le gambe con le sue abili mani.

In questo momento si rende conto che a Lovere è l'ultimo giorno. Saluta la città per la sua ospitalità, e pure il fiume Oglio che tante volte gli ha fatto compagnia. Oggi però è una giornata nera per il fiume, o meglio, si è alzato senza lavarsi,è tutto sporco e le sue acque limacciose non vogliono nessuno, è arrabbiato, meglio lasciarlo stare. Se ne va tranquillo Tista, nemmeno un guado lo può fermare, tre salti ed eccolo dall'altra parte senza bagnarsi i piedi.

Nemmeno a Darfo si ferma in mattinata, quando un autocarro gli sbarra la strada. “Lavori in corso”, dicono gli operai. Nessuno può passare. Solo a lui è consentito, perché lui non si può fermare. Per mezz'ora mi fermo io senza spazientare, con la bici però devo recuperare, ritrovare Tista è fondamentale, dei viveri non se ne può privare.

Lo ritrovo fermo nel parco, non a riposare, lui si allena, anche l'anno scorso lo voleva sempre fare.

Quest'anno, per i suoi 70 anni, Tista ha voluto riprovare, e il risultato è eccezionale: un esercizio di forza con le sole braccia, alza il corpo e le gambe sulla sponda di una panchina come fosse una lievitazione, non è magia, una fotografia lo immortala. Gambe, braccia e mente formano un trinomio che per Tista non possono mancare. Non grida e non impreca quando si deve scaricare, lui la tensione la scarica in “panchina”, come quelli che assistono la partita: lui però non sta seduto, non lo può fare.

Un consiglio si permette di dare:chi volesse imitare, attenzione, si potrebbe far del male.

Non sarà un mese di vacanza, i saliscendi saranno una dura prova per Tista che ormai ha le armi per lottare. Ci vorrà un giorno o forse due, poi come se niente fosse, tutto sarà normale. Sono questi i momenti in cui si abbandona ai soliti ringraziamenti, così facendo non si sente solo.

Per un momento vuole parlare e ricordare l'amico Tito Salvi presidente della unione sportiva Sedrinese che lo ha sostenuto moralmente il primo giorno e ora, l'amico che lo fa sentire meglio. “Questa squadra -dice Tista,- rimane quella del mio cuore, quella dell'amico d'infanzia e campione Felice Gimondi”. Una squadra che ha scritto una storia che Tista è felice di ricordare. Domani sarà un altro giorno dice Marchesi: “Riprenderò il mio ritmo, penserò solo ai chilometri che dovrò fare, non mi dovrò più preoccupare”.

“Per domenica- conclude, voglio farmi un regalo: non mi costa cinquemila lire, né cinquemila euro, mi costerà cinquemila chilometri, saranno quelli che ho percorso sin d'ora e come ringraziamento salirò sul monte, a seicento metri, per raggiungere il santuario della Madonna della Ceriola e là, pregherò per me”. Ma nessuno dovrà ascoltare.

Battista Marchesi: 19100 km no stop per nove mesi (Racconto n.9)

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