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Serina (BG) – 3^ “MAGA” Skyrace

Lombardia - Primapagina

Maga? No, strega cattiva

“Mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell'arcobaleno vanno a fermare la pioggia d'argento”.  Comincia così una vecchia canzone di Domenico Modugno dove la pioggia fa da pretesto per cancellare un amore. La pioggia, protagonista in molte canzoni, in molte poesie, nella vita di tutti i giorni e così tanto invocata nello scorso mese di agosto, ha fatto la sua comparsa in tutto il suo “splendore” nel giorno sicuramente meno azzeccato.
Con Claudio mi dirigo verso Serina, un piccolo paese incastonato tra le valli Brembana e Seriana e che dà il nome all’omonima piccola vallata, per disputare quello che per Claudio rappresenta un piccolo test in vista del ben più impegnativo “Trofeo Scaccabarozzi” mentre per me non è altro che un ritorno al pettorale, dopo la bella ed inaspettata prova al “Giir di Mont”.
Piove su Serina, a catinelle, e dopo aver invano cercato un bar aperto per un caffè giungiamo al quartier generale dell’organizzazione. Parcheggi, ritrovo, partenza, arrivo, spogliatoi e pasta party tutti lì, all’interno ed esterno di un accogliente palazzetto dello sport.
Siamo in pochi; tra i partecipanti della prova lunga e della breve gli iscritti sono poco oltre il centinaio e con una parte di questo centinaio mi perdo subito in chiacchiere e considerazioni su quello che ci aspetterà una volta partiti. Partiti? Non c’e’ nemmeno la sensazione di partire: troppa l’acqua caduta sui monti il sabato e la notte precedenti; troppa è la paura che succeda qualcosa di spiacevole, vista la difficoltà ma soprattutto le insidie che il percorso nasconde… e nemmeno troppo bene.
Così, dopo una lunga serie di consultazioni, il Comitato Organizzatore decide per una gara dimezzata. Niente più vette per la lunga, niente più vetta per la corta, ma un anonimo giro di una decina di chilometri da ripetere, per gli iscritti alla maggiore delle prove, per due volte.
Partono gli arditi della “lunga” e a pochi minuti di distanza partiamo noi. La voglia, a questo punto, è poca: sognavo una bella giornata di sole, una “sfacchinata” tremenda e poi lassù, in vetta, a godermi il panorama sulla croce dell’Alben, e dalla vetta poi, via a perdere quota divertendomi.
Niente di tutto questo: la pioggia, come nella canzone, cancella tutto o quasi. Ci rimane un breve tratto di asfalto, dove mi rendo subito conto dove la classifica ospiterà il mio nome; un lungo “muro” di terra e roccette all’interno di un fitto bosco, che ci farà guadagnare in una quarantina di minuti 700 metri di dislivello; un bel pianoro erboso che ci condurrà alle “Casere” e la lunga discesa su un bellissimo e tecnico sentiero fino all’arrivo.
Più o meno sarà questo il nostro percorso e più o meno caracollante affronto quel lungo sentiero che ci porterà alla bocchetta del Sapplì dove Claudio, nettamente più in forma di me, mi cede le sue racchette in supercarboniotitaniofibradivetroplatinumplus e mi precede dettandomi i ritmi di salita. Ritmi blandi e ce ne accorgiamo dalla fila di atleti che ci supera al punto che a Claudio vien quasi la paura di arrivare ultimo. “Tranquillo amico”, gli rispondo, “al massimo arriverai penultimo”. So quanto poco mi sono allenato in quota in questi ultimi due mesi, persi più (e forzatamente) tra il divano di casa e le spiagge della Puglia e quindi so che sarà una gara assolutamente in tono minore. Sono passati 40 minuti da un “via” dato a voce quando superiamo la bocchetta e iniziamo finalmente a correre. Giunti alle “Casere”, l’umore è alto e all’orizzonte già appaiono alcuni atleti che, nel tratto in salita, mi avevano scherzato.
Stop al ristoro e battute sullo stato di forma anche se gli applausi, gli incitamenti e i complimenti sono per tutti, anche per gli ultimi (ed è il nostro caso). Ed una bella notizia che mi accompagnerà, spero, fino al termine: “forza ragazzi, che da adesso in poi è tutta discesa!”.
Bene: abbandono Claudio, che ringrazio per l’aiuto, e mi catapulto verso i primi due atleti, che riprendo in un baleno. Il bosco ci inghiotte nuovamente; mi diverto un mondo a saltellare qua e là in quello strettissimo e ripido budello di roccette bagnate, fango e ruscelli. Ne prendo altri ed altri ancora: qualcuno si sposta e, sinceramente, a me spiace che si frenino per farmi passare anche perché un comportamento simile potrebbe essere pericoloso per loro. E intanto ho Claudio dietro, lo sento che sbuffa: sarebbe bello, anche ad uso e consumo dell’unico fotografo presente all’arrivo, un finale fianco a fianco. E mentre quel divertente “budello” finisce, lasciando il posto ad un comodo sterrato, punto altri tre atleti. Ne supero due nel successivo tratto di asfalto che, spero, ci divida dal traguardo.
Speranza vana: chiedo ad un addetto al percorso quanto manca alla fine, presupponendo già una risposta, ed invece la sua, di risposta, mi gela letteralmente: “tre chilometri!”, esclama.
Mi cade il mondo addosso e spero solo che questi tre chilometri, che mi separano dall’arrivo, siano corribili. Guardo il mio satellitare che mi segna 9,5km e mi chiedo come mai, al briefing mattutino, gli organizzatori avessero assicurato un percorso di soli 10km. Mah… e mentre mi chiedo tutto questo appare addirittura un ristoro, nell’abitato di Cornalba, il secondo su tutto il percorso: un po’ pochino come pochino è ciò che vi trovo. Mi fermo, e i gentili signori dietro ai banchetti pensano di incitarmi urlandomi che mancano “solo” due chilometri e mezzo…. Saranno i più lunghi di tutta la mia vita.
Li lascio e proseguo su questa strada che presto abbandonerò per ritrovarmi ad affrontare dei “mangiaebevi” spaccagambe su un sentierino dove a malapena riesco ad incastrare i miei piedini, che notoriamente di fata non sono. E poi un urlo: “Arrivo amico!”. E’ Claudio, che in breve mi raggiunge: sicuramente più fresco, più brillante e più motivato di me. Io ho il morale sotto i tacchi: la sparata della discesa e il tratto d’asfalto percorso sotto i 4’ al chilometro mi hanno tolto ogni energia e decido di tirare definitivamente i remi in barca, che vista l’acqua…
Claudio mi abbandona e si invola verso Serina e il traguardo mentre  altri tre atleti, quelli che avevo superato nel tratto d’asfalto, mi risuperano. Sono affranto, non ce la faccio più e controllo nervosamente e di continuo l’altimetria sul mio satellitare. Finalmente lo stretto sentiero si allarga fino a diventare strada sterrata e poi asfalto. Sento persone vociare: è il segno che sto per arrivare ed infatti la strada comincia a scendere sempre di più mentre la gente mi incita applaudendomi e urlando parole di incoraggiamento. Ora è davvero tutta discesa, anche se l’ultimissimo tratto sarà una breve e ripida salita d’asfalto, ma ormai sono arrivato. Corro anche questi ultimi duecento metri, mentre Claudio è lì ad aspettarmi e mi rifila un “cinque”.
Termino questa mia fatica ben più lunga dei 10 chilometri che mi aspettavo in un’ora e 48 minuti e non so se essere felice per averla terminata o deluso per come l’ho terminata e per non aver “conquistato” nessuna vetta. Certo è che mi serviranno ancora molti chilometri in montagna (soprattutto in salita) per tornare a una condizione di forma accettabile e me ne rendo conto dai crampi all’interno coscia, con i quali faccio per la prima volta conoscenza, una volta raggiunto lo spogliatoio.
E mentre Vi scrivo niente colori dell’arcobaleno a fermare “la pioggia d’argento”; dopo aver atteso invano, in una grigia mattina di inizio settembre, l’incantesimo di una “Maga” maligna e cattiva.

 
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