Bambin, ti ricordi quando partivamo da quel quartiere nato malissimo come Quezzi, passavamo in via Fereggiano in mezzo a palazzi costruiti in fretta e furia, continuavamo animati dal nostro sogno incrollabile di corsa su strada, proseguivamo in Val Bisagno, magari alle otto di sera, incuranti di tutto? Non te ne accorgevi di quello che sembrava un rivo incastrato fra il cemento…..Andavi avanti sotto la luce di quei lampioni gialli, da periferie metropolitane, e correvi, correvi. Passavi vicino al “Luigi Ferraris” e ti venivano in mente Aguilera, il Genoa di Osvaldo Bagnoli, il povero Signorini, Milito….Più in su c’era la memoria delle traversate podistiche, dei giri dei quartieri. Ti bastava solo quello. E Quezzi era una linea immaginaria di partenza verso i tuoi sogni, poco importava che, a un certo punto, a Molassana, ti si parasse davanti la scritta: “ecco quello che offre la città: cemento”. E allora anche in giornate orribili come questa (come nel 1970, come nel 1992) mi aggrappo all’idea che Genova abbia ancora una volta la forza di continuare, di andare avanti. Andare avanti anche dopo che è crollato il mondo addosso. Quante volte siamo andati in crisi, Genova? Allora ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che ce la potevamo fare. Perché tu hai gambe e fiato in corpo. Oggi il fiato era cortissimo, avevi poca voglia di parlare. Quasi le parole erano strozzate in gola. Non riuscivi a capacitarti. Una volta ero più giovane, avevo più forze. Ma quelle forze che ancora ho, te le regalo volentieri. E’ solo una questione psicologica, perché tu non sei forte, sei fortissima. Sono la forza e la bellezza dei lungomare, del tuo centro storico, di tutte le volte nelle quali i tramonti delle alture mi hanno riconciliato con il mondo. E quindi, Genova, sei il mondo. E ce la farai ancora una volta.