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Turin Marathon: muro infranto!

Maratona - Torino - 25^ Turin Marathon

Lo scorso aprile, in occasione del mio quarantaduesimo compleanno, Nicola, un vecchio amico di famiglia, mi augurò buon compleanno regalandomi un auspicio, che poi era pure un interrogativo: “Gibe, perché in occasione dei tuoi 42 anni non ti regali 42 chilometri sotto le tre ore?”.

Sorrisi. Sognai per un attimo l’ istantanea di quel momento, un lampo, un battibaleno, un arcobaleno!

Tornai alla realtà ringraziando per cotanto, ma l’autunno era distante, in mezzo tanta vita giornaliera da vivere, chilometri da correre, di gusto, col piacere di farlo senza vincoli al polso. Fra Casella e Montoggio, in Valbrevenna: strada, sentieri, salite e boschi, senza programmare un bel accidente.

Ci sarebbero state poi alcune sfide da affrontare, un po’ per strada, un po’ per monti, sempre con la mia logica, l'istinto irrazionale.

Ancora, la Placentia Marathon, corsa in occasione della prima domenica di marzo, aveva sentenziato, senza tanti giri di parole, tre ore ed undici primi e svariati secondi, podisticamente parlando distante un oceano da quel confine, un mostro d’acqua, un mare immenso, ove affogare qualsiasi miraggio. Un sogno da riporre in arbanella sotto sale a conserva, come un’alice … nel paese delle meraviglie.

Dopo 26 anni ho ripreso un treno, neanche sapevo come, cosa dovevo fare. Ho passato una settimana ad informarmi da amici sul da farsi: obliteratrici, fasce chilometriche, biglietti acquistabili online, persino dove vendono le sigarette!

Ad Alessandria treno alle 6.38, in stazione alcune ed assonnate loro malgrado portatrici di degrado. Sulla banchina avvolti nella nebbia fredda mattutina, tute podistiche dei sodalizi piemontesi, zainetti della Turin Marathon. Nel vagone è un attimo fraternizzare, basta una scintilla, gli occhi si accendono e brillano. Si animano e via ci si racconta. Fra gli altri, faccio la conoscenza di Federico Brugnolo, è un ferroviere di Mignanego, scopro esser collega di un mio amico; ogni tanto corre in pista a Sarissola.

Addirittura ci siamo già, abbiamo corso, incrociati inconsapevolmente, irriconoscibili nel buio, e/o per i cappellini che portiamo, ingiarmati di colori di abbigliamento arlecchino, frutto di collage di pacchi gara, riconoscimenti.

Mi racconta che da ragazzino faceva atletica, poi nulla. Oggi cinquantenne ha ricominciato in quanto non ha mai fatto la maratona, il desiderio di coronare un sogno. Oggi (ieri), a Torino , un incanto lungo 3h46 minuti… Felicissimo.

Andrea Biggi, pur’esso dell’Atletica Vallescrivia, mi aspettava, è da sabato a Torino, ospite di un amico. Un anno travagliato il suo, infortuni a catena, ma non ha desistito. E’ alla seconda maratona, chiuderà in 3 ore e 25 minuti. Grande.

Piazza Castello splende illuminata di tanta gente; sole e storia. Fa freddo, un freddo cane che si va via via ad accentuare usciti dal centro. Genova è presente, i genovesi sono in molti, si riconoscono per canotta ed accento; vincono la gara con il cussino Abdelaziz Ennaji El Idrissi.

In concomitanza del lungo Po, nella campagna, cala la nebbia umida e gelida, occlude la vista delle Alpi; intanto prosegue il pellegrinaggio di fatica volontaria. La corsa con l’andare dei chilometri s’insonorizza. Le batterie picchiate a forza con le bacchette da bambini e ragazzi ritmano la corsa; in concomitanza dei centri urbani tanti applausi generosi. Ad Orbassano la banda musicale, poi forse ancora delle altre, in altri nuclei. La maratona ha poca poesia, ci si deve concentrare e basta, e non è per niente semplice. Un esercizio di auto ascolto. Di stimoli e determinazione. Una corsa costante, preferibilmente senza alcun strappo, frenando la gamba pure quando,, soprattutto all’inizio, è come un giovanotto ribelle.

Non sono capace di correre in gruppo, amo vedere davanti agli occhi libero di guardare. Infatti, ho cercato fino che ho retto di stare davanti o al fianco al pacemaker delle tre ore.

Pensavo ad un ipotetico rasoio tagliente, una fresatrice che m’inseguisse impazzita, affamata di tritarmi. A cani randagi, coyote con denti aguzzi pronti a sbranarmi. Alla terra che dietro a me si apriva come un enorme voragine ed inghiottiva tutto e tutti. La voragine delle tre ore.

“Cello”, al secolo Blanchet della Turin Marathon, un meraviglioso condottiero: costante nel suo scandire la cadenza del passo, prodigo di aiuto psicologico; poche estremamente scelte parole. Grazie.

Ho abbattuto il muro limite anche grazie alla presenza di Ferdinando Todaro della Podistica Cornigliano. Lo avevo davanti, a fianco, dietro. Ci guardavamo, parlavamo, facevamo coraggio, poi silenzio.

Abbiamo condiviso, fatica, dolore speranza e disperazione. Lo guardavo attentamente, il suo gesto atletico, un fare bellissimo. Pensavo nella mia testaccia di ZZ (dura): “Nando è fortissimo, bravissimo, un fisico della madonna, il volto una maschera guerriera greca, un vero adone, fisico da IronMan; però ha due gambe come me. Le muove alternandole una dopo l'altra e se ci riesce lui, ci riesco anch'io, ci devo quantomeno provare”. Anche Todaro ha dato una sballata a quel suo muro. The Wall.

Ricordo di aver corso gli ultimi 12 km senza gambe, loro andavano lungo i viali, giuro senza sentirle, nel mentre combattevo una guerra epocale nella mente. Uno scontro senza esclusione di colpi. Da una parte l’esercito nemico armato di asfissia, nausea, dolori: al fegato, milza, zona pube, di rinuncia. Dall’altra le residue difese forti di speranza, tenute assieme dal cuore. Un cuore gonfio di passione per questo sport, pulsante della stima amica mostratami nel tempo.

Con me hanno corso in molti, li ho immaginati in un gruppetto tutt’intorno, alternandosi nel sostegno, nei consigli e rimproveri.

A Torino quattro anni fa corsi la mia prima maratona. Il mio primo pianto emozionale sportivo. Piansi dal trentasettesimo km all’ arrivo. Non smisi neppure dopo aver tagliato il traguardo. Chiamai a casa per dire che ero sopravvissuto, piangevo ancora; lacrime di sfinimento, lacrime di stupore.

Ieri a Torino ho scartato il regalo che a posteriori Nicola mi aveva donato (indicato) ad aprile. All’interno un muro abbattuto, la vista oltre quel limite, l’aria che si respira; un nuovo liberatorio pianto. Lacrime di gioia, un vagire felice.

“Solo in mezzo a tanti, solamente tanti chilometri da percorre insieme a tanti”.

 
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