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Turin marathon: Due gambe di rovere antico

Maratona - Torino - 25^ Turin Marathon

Torino_Turin_marathon_2011_CalderoneMi sveglio dopo una notte tranquilla. Non c'è nessuna tensione perché ho rinunciato a tutti i miei possibili obiettivi. Sto comunque attento a tutto il rituale pre-maratona, dalla colazione all'abbigliamento, dal pettorale agli integratori, e, prima di uscire da casa, do uno sguardo nostalgico all'agenda della corsa: Assemini, 12 novembre 1995, 16 anni e 1 giorno fa l'esordio in maratona. Malinconicamente guardo i lavori che mi avevano portato a quel 2h27'09". Da fine settembre non sono più riuscito a seguire un programma di allenamenti che mi portasse a questo appuntamento con una preparazione decente e con un minimo di sicurezza su cosa potermi aspettare. La febbriciattola della settimana scorsa ha cancellato poi le residue aspettative e anche la frustrazione. Non posso che essere sereno, non ho niente da chiedere alla gara e sono certo di non potere mantenere la media dei 3'30", né rimanere nelle 2h30' finali, limite fino ad ora sempre rispettato. Chiudo l'agenda, prendo il borsone, e con Angela andiamo alla partenza.

Breve giro tra gli stand, uno sguardo al traguardo. E' qui a pochi passi... ma è distante ancora 42 km.

Comincio a riscaldarmi, da solo e a ritmo blando. Saluto Silvio Bertone e Giuseppe Veletti, e tra le pause per andare in bagno e svestirmi, alla fine corro poco, ma va bene così, tanto partirò lentamente, sui 3'35"/3'40".

La giornata sembra perfetta per correre. L'aria è ancora fredda, ma c'è il sole. Sicuramente tra poco la temperatura salirà di qualche grado senza superare gli 11/12° C: condizioni ideali.

Sulla linea di partenza incontro anche Franco Fonnesu, venuto da Milano, e Adelina che correrà accompagnata da Saverio. Siamo quasi pronti, e all'ultimo momento decido di togliere anche la maglia, restando solo con la canottiera e i guanti.

"Salvatore, cosa fai, parti a 3'30?", Alessandro Giannone chiede le mie intenzioni. La troppa fatica del campionato italiano di maratonina del mese scorso a Cremona (1h09'54") e i test di Avigliana (1h15'00") o alla Folle del Ruffini di domenica scorsa, corsi sui 3'30", mi hanno lasciato con la certezza di non avere margini per tenere questo ritmo per 42 km. "No, non credo di farcela, vorrei partire più lentamente".

Partiamo senza traumi. Le uniche ansie sono per il pavé e i binari del tram di via Po, e per i sorpassi delle carrozzine dei disabili rallentati dal fondo stradale e dalla marea umana che presto li avvolge.

Mi assesto insieme ad Alessandro che dopo un chilometro ha solo un paio di metri di vantaggio. Non volevo esagerare, ma sembra il ritmo giusto. Il primo mille è stato veloce, adesso abbiamo corso altri tre chilometri costanti a 3'31".

"Prendiamo quei due?" Davanti a noi c'è un ragazzo con il completino giallo-blu distante una quindicina di metri, e più o meno alla stessa distanza davanti a lui ce n'è un altro. Alessandro vorrebbe raggiungerli, ma non mi sembra il caso di cominciare a forzare il ritmo o a lottare per le posizioni. "Lascia perdere, stiamo andando così bene". "Era solo per far gruppo...". Lo lascio alla sua delusione per la mia mancata collaborazione, ma siamo in due, siamo già un gruppo, e per la prima volta negli ultimi due mesi provo finalmente le sensazioni che, invano, avevo cercato in allenamento: una corsa aerobica, senza bisogno di cercare la spinta; vado avanti con estrema naturalezza, senza alcuno sforzo apparente. Sono partito più forte di come pensavo di poter fare, ma con queste sensazioni non mi sento di impormi un ritmo più lento. Spero di non commettere l'errore classico del maratoneta sprovveduto che sottovaluta il ritmo dei primi chilometri, ma è veramente facile, non voglio rallentare.

Al 7° km ci raggiunge la prima donna e con lei un altro paio di atleti. Si rompe il delicato equilibrio che si era creato e ci fa aumentare. In breve raggiungiamo i due ragazzi che ci precedevano, sarà contento Alessandro, adesso siamo un gruppone di sei o sette persone! A fare il ritmo è proprio la ragazza, l'ucraina Yuliya Ruban. La sensazione è che ognuno di noi maschietti sarebbe più contento se corressimo un po' più piano, ma lei insiste, sembra molto decisa e sicura di sé. Moncalieri e Nichelino sono belli da attraversare. C'è pubblico, con piccoli complessi musicali e con le majorette a rallegrare il nostro passaggio.

Al 10° km si crea un momento di confusione. Il pulmino con il cronometro della gara femminile che ci precede ha rallentato vistosamente a causa dei dossi artificiali. Gli arriviamo addosso, c'è pure la moto con la telecamera, ci urtiamo, rallentiamo, e c'è anche il ristoro. Riesco a passare avanti e afferro una bottiglietta d'acqua. Bevo un paio di sorsi meccanicamente e con troppa fretta. E' lo stesso errore del ristoro precedente, l'acqua fredda mi crea un leggero dolore allo stomaco. Dura poco, ma devo prestare maggiore attenzione, sarebbe sciocco rovinare la gara per così poco. "Sei un master?" Uno dei ragazzi rientrati insieme alla Ruban mi affianca per parlarmi. "Sì, e tu?" Non lo conosco, indossa una maglia bianca con le maniche lunghe, non sembra affaticato. "Sì, anch'io". Vorrei chiedergli se pensa di poter tenere quel ritmo fino alla fine, ma mi sembra poco gentile e lascio perdere. Più che farmi gli affari suoi, in realtà, vorrei solo sapere se avrei compagnia nel caso in cui dovessi rallentare. Perché non riesco ancora ad immaginare di poter correre tutta la maratona così. E il bello è che la cosa non mi preoccupa minimamente, ciò che penso non distrae le mie gambe. Loro stanno correndo con un'altra regia e stanno svolgendo un ottimo lavoro, in grande economia, continuando con leggerezza ad archiviare chilometri preziosi passo dopo passo.

La foschia di Beinasco ci porta un po' di quiete. L'elicottero che dalla partenza ci frullava sulla testa si è allontanato ed è scomparsa anche la moto con la telecamera. In compenso abbiamo guadagnato il megafono di Aldo Giunta. E' il direttore di corsa della gara femminile, ci precede in auto, e non dà tregua alle nostre orecchie con i continui inviti rivolti ai ciclisti per allontanarsi dal percorso o allo scarso pubblico per incitarci. Francesco Bianco, compagno dei pochi allenamenti di qualità di settembre e ottobre, ci affianca in bici per qualche centinaio di metri, e alla fine cede al martellamento di Aldo e va via.

Ad Orbassano c'è il passaggio alla mezza maratona: 1h13'39", 11 secondi meglio di una media di 3'30". Comincia l'avventura verso l'ignoto, sto correndo oltre la distanza diventata così familiare quest'anno con nove maratonine corse, poco meno della metà di tutte le gare disputate. La spensieratezza dei primi chilometri non c'è più, ma sto ancora bene. Non potevo pensare di arrivare a questo punto come se nulla fosse, ma le gambe legnose di Mauro dell'esordio non ci sono ancora. Ritengo di avere una fatica giusta, possiamo continuare!

Il gruppo si è sfoltito. Il master con la maglia bianca è sparito già da un po', così come uno dei ragazzi giallo-blu. Davanti, a volte sono solo, o, al massimo, mi affianca la Ruban. Con la salita verso Rivoli quel che resta del gruppo si allunga. Guadagno qualche metro, succede sempre ai ristori. Non voglio forzare troppo, non cerco di andarmene, ma non voglio neanche rallentare gratuitamente. Quando finalmente la pendenza diminuisce (3'39" il chilometro più lento), la Ruban rientra, forse anche Alessandro, ma dura poco, fino a quando ci immettiamo in Corso Francia - il viale più lungo d'Europa come ricorda sempre Attilio Monetti in TV - che ci porterà fino a Torino. Soprattutto nella parte iniziale ha vari saliscendi, ma sostanzialmente si corre in discesa e non freno la mia esuberanza. Pur badando a mantenere una corsa controllata, stacco i compagni di gara per avviarmi da solo. Mancano soltanto 14... 13... 12... chilometri. Non penso più ad accumulare chilometri nel pallottoliere, è cominciato il conto alla rovescia, ormai dietro i dossi di Corso Francia vedo l'arrivo. E' nascosto dietro la foschia, tra i palazzi del centro, ma io lo vedo già, solo una decina di chilometri, una passeggiata.

Adesso c'è più pubblico. Emanuele, Luca, Fabio, Shuela; mi fa piacere sentirli e riconoscerli, ho bisogno anche del loro supporto per finire bene adesso che la fatica comincia a farsi sentire.

"Sei Italiano?" Vasyl Matviychuk, il forte atleta ucraino, richiama la mia attenzione dal pulmino con il cronometro che adesso mi affianca. "Non è che rallenteresti per aspettare la prima donna?" Oggi ha fatto la lepre per gli uomini fino a metà gara e, dopo, avrebbe dovuto aspettare la connazionale Ruban per aiutarla. Salito sul pulmino non l'hanno fatto ripartire più e adesso cerca un sostituto. Non spreco neanche il fiato per rispondergli, basta un cenno per fargli capire che il mio rifiuto è senza appello. 'Di ogni secondo sarò orgoglioso' era stato il pensiero dell'esordio di Assemini, e così è ancora adesso. Non ho fatto proiezioni sul tempo finale e non sto guardando i parziali. Corro in piena libertà, concentratissimo, deciso, io e la mia maratona, come ai bei tempi, orgogliosamente orgoglioso di ciò che sto costruendo. Dopo Rivoli è comparso anche Tony in bici. Vorrebbe stare con me, ma il megafono di Aldo è implacabile, e lui cerca di defilarsi andando, quando possibile, nel controviale. Per qualche chilometro evita di starmi troppo vicino, poi, avendo accumulato un discreto vantaggio sulla Ruban, ci siamo allontanati da Aldo e Tony può rilassarsi. Lui sì, io no. Dal 37° km la fatica si fa sentire con il peso di tutti i chilometri corsi. Invoco la pazienza del maratoneta, mancano solo tre giri del mio parco. Mi immagino al Ruffini, con Nicola Ciavarella, a correre un medio. Solo tre giri, cosa vuoi che sia, appena il tempo di pensarci e saranno solo due!

Incrocio Nicol e Marco, abbozzo un sorriso (forse), ma sono molto preoccupato. Sbircio il parziale del 40° km e mi stupisco nel leggere un ottimo 3'27". Il check-up resta allarmante. Sono sbilanciato in avanti, ad ogni passo mi sembra di cadere, ne sono consapevole e non riesco a riprendere il controllo. Le gambe, il bacino, il busto, le spalle sono un blocco unico saldato dalla fatica. Vorrei rallentare, me lo potrei permettere, ma temo qualsiasi variazione dello stato attuale. E se poi mi bloccassi del tutto e non potessi più ripartire? Cerco di resistere, ormai siamo vicini all'arrivo.

L'ingresso in Corso Re Umberto è una scarica di adrenalina, ma l'effetto dura poco, le gambe pesanti non mi appartengono più, vanno avanti senza il mio controllo. Piazza Solferino e poi via Santa Teresa, ultimo chilometro. Tony è ancora con me. Ha urlato in continuazione ma non lo sento più, l'acido lattico è assordante. Percepisco il suo nervosismo, è preoccupato anche lui, non devo essere un'immagine di freschezza. Resta con me fino in Piazza S.Carlo, poi si ferma. Piazza S.Carlo, potrebbe essere un'iniezione di adrenalina pura per finire in bellezza, ma il mio corpo non ci casca più, vince la fatica, vorrebbe vincere ma... io non cedo!

Svolto in via Roma per gli ultimi 400 metri sbandando. Non è un problema di velocità, non riesco a curvare, sono stravolto. Sono disposto a rallentare per assumere una postura più dignitosa, ma non ho energie nemmeno per questo, non ci riesco. Il traguardo sembra allontanarsi, pesano più gli ultimi e pochi metri davanti di tutti quelli alle mie spalle. Non riesco a godermi la passerella finale, ma in cuor mio comincio a gioire nel vedere il cronometro sulla linea d'arrivo. In gara non ho mai fatto una proiezione, né per ansia né per curiosità. Finisco in 2h26'45", 24 secondi meglio dell'esordio di 16 anni fa!

Dopo l'arrivo, ritrovo Angela. E' sorpresa, preoccupatissima, contenta. Non mi aspettava ancora e il panico la stava invadendo nel vedermi arrivare... leggermente in crisi. Si rilassa subito, chiacchierando con Francesco Gambino (fotografo ufficiale al lavoro) e Francesco Mandrilli che dividono con noi la gioia di una gara dal risultato inatteso e incredibile. Una maratona dal doppio volto, facilissima fino a pochi chilometri dall'arrivo ed eroicamente dura nel finale. A 43 anni, le gambe legnose di Assemini '95 ci sono ancora. Dure come il legno, sì, ma legno di rovere per un'annata da ricordare!

In classifica sono 24° assoluto, 12° per il campionato italiano vinto da Giovanni Gualdi (2h14'01", 8° assoluto) davanti a Francesco Bona (2h15'31", 11°) e Migidio Bourifa (2h15'50", 12°). La gara l'ha vinta a sorpresa il marocchino Ennaji El Idrissi (2h08'13"), davanti al keniano William Chebor (2h08'21") e all'etiope Bacha Megersa (2h0855").

Tra le donne, Yuliya Ruban recupera su di me nel finale almeno una ventina di secondi senza raggiungermi e vince in (2h27'10") davanti alla lituana Rasa Drazdauskaite (2h29'47") e alla russa Silvia Skvortsova (2h30'09"). Brava Ornella Ferrara (2h36'52", 7^), 2^ nel campionato italiano dietro Martina Celi (2h36'11", 8^) e davanti a Martina Facciani (2h37'15", 10^).

Tra i master, il marito di Ornella Ferrara, Corrado Bado (2h30'28", 31°) è terzo dietro Migidio Bourifa e me. Un bravo anche al Piemontese Lorenzo Perlo, uno dei due ragazzi giallo-blu: è 26° assoluto in 2h27'20" superando nel finale Alessandro Giannone (2h27'59", 27°).

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 23 Novembre 2011 22:19)

 
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