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E venne il giorno delle running shoes...

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Non mi pare ancora vero se penso a com’ero fino a qualche anno fa. Ammetto di essere stato fulminato da una tempesta miracolistica che ha dettato in me una metamorfosi kafkiana. Ero solito ingozzare cibo a iosa, stravaccarmi sul divano e guardare con ghigno sardonico chi faceva sport, soprattutto chi correva, mentre il buon Dio mandava la sua benedizione sciolta in pioggia o in neve. Non ero prossimo alla soglia pensionistica, avevo soltanto venticinque anni, eppure la mia osmosi con il dinamismo fisico fino a quel momento era latitante. Ricordo ancora adesso come una mattina, appena alzato, ebbi un capogiro, una sensazione di sbandamento che mi allertò facendomi correre dal medico, il quale, prescrivendomi gli opportuni esami ematici insieme alla misurazione della pressione arteriosa, fece una smorfia che non lasciava intendere nulla di buono. Quando mi presentai con il responso degli esami, mi ricontrollò la pressione, poi si sedette di fronte a me dicendomi: “Caro Marco, hai venticinque anni, o ti decidi a fare sport oppure dovrai accompagnare il resto dei tuoi giorni con alcuni farmaci. Immaginate cosa significhi per un sedentario proiettarsi nella dimensione opposta, in quella sportiva, dove si passa dal divano alle scarpette, dal fiatone al rinvigorimento aerobico, dalle taglie forti a quelle normali, insomma una vera e propria rivoluzione copernicana. Uscii dallo studio del mio medico perplesso, ma allo stesso tempo consapevole che qualcosa dovevo pur fare per spostare l’ago della bilancia verso sinistra. Mi guardai allo specchio e decisi che dovevo provare a muovermi. Un tardo pomeriggio di giugno di sette anni fa, indossai una t-shirt vinta ad un concorso radiofonico (assolutamente non tecnica, infatti si appiccicava addosso come un francobollo), un paio di pantaloncini presi a caso e delle scarpette un po’ malconce e mi avventurai corricchiando lungo un viale ove si davano appuntamento tutti i podisti della città. Ero un po’ come una macchina che avendo problemi al motore viene mossa a spinta, in quanto tutti mi superavano, ma non ci facevo caso poiché il mio obiettivo era rimodellare me stesso. Nel giro di poche settimane, con una costanza a cui facevo fatica a credere, percorrevo i miei primi 5-6 km pur sudando come un pachiderma, ma al contempo provando delle bellissime sensazioni. Settimana dopo settimana, km dopo km, giunsi a correre un’ora. Non mi pareva vero, eppure ce l’avevo fatta. Durante il primo periodo conobbi alcuni veri podisti che mi consigliarono d’indossare abbigliamento tecnico e seguire qualche tabella per migliorare un po’. Confesso che non ho mai seguito nessuna tabella, ho sempre lasciato fare alle mie sensazioni, e a distanza di anni, passare dai pochi metri corsi con sudore e fatica, ai venti e oltre km corsi con scioltezza, è davvero un bel traguardo. Pioggia, neve, vento gelido, caldo torrido, nessuno di questi riflessi climatici impedisce di calzare le scarpette e accendere se stessi in un turbine di assoluto benessere. Amo gareggiare con me stesso e non con il cronometro, ma posso assicurare che è davvero una gran bella sfida. Ho imparato nel tempo come la corsa sia il risultato della perfetta sinergia tra cuore, testa e gambe. Quando questi tre elementi interagiscono alla perfezione allora puoi andare spedito in tutto il mondo, ma quando qualcosa s’inceppa allora si rallenta o ci si ferma. Chi come me, ormai vive un periodo di prolungata inoccupazione, non sempre riesce a correre felicemente, in quanto la testa è il vero motore dell’uomo. Di una cosa però sono ormai più che certo: correndo sono diventato allenatore di me stesso.

P.s.: i valori ematici e la pressione arteriosa hanno raggiunto uno standard ottimale. 

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