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Milano City Marathon 2012, ve la racconto...

Maratona - Milano Marathon 2012
Marchini_Dario_Milano_Marathon_2012Sportivamente ed emotivamente parlando è stato sicuramente uno dei giorni più belli della mia vita. Se mai avessi dovuto scrivere un copione per questa domenica non mi sarei allontanato troppo da quanto è successo. Guardando e analizzando tutto a mente fredda anche quello che poteva sembrare negativo non lo è stato, perchè sarebbe tutto cambiato. E' stato un susseguirsi di emozioni, di sorprese, di adrenalina, di gioia, di soddisfazioni quasi senza fine. Una maratona nella maratona. E anche se pensi di essere ben allenato, quando hai le formiche nello stomaco non puoi farci niente. Oggi come non mai calza a pennello il pezzo che avevo scritto mesi fa, Lacrime e sudore, sono lacrime che bagnano la pelle come pioggia in primavera - un diluvio autunnale che raffredda anche il cuore, anche se andrebbe aggiunta una nuova strofa. Non so come sarebbe finita se non avessi saputo che c'era chi mi stava seguendo, aspettando, monitorando. Perchè questa volta è stata davvero dura, diversa, strana... praticamente perfetta. Per come è uscita. Per come è stata. Per come ormai è dentro al mio cuore.
Per fortuna giocavo in casa, a Milano. Sveglia alle 5 per raggiungere la partenza a Rho per tempo. Praticamente un viaggio da capolinea a capolinea. Mi sono studiato bene il percorso in questi ultimi giorni, ma ho approfittato del tempo da ingannare per un ultimo briefing dove memorizzare i passaggi e gli intermedi, dove fissare i chilometri, dove prendere i riferimenti. Il percorso è cambiato solo leggermente rispetto due anni fa e secondo me migliorato, diventando ancora più scorrevole e più piacevole. Fortunatamente mi ricordo anche di controllare il ritmo gara da tenere, sui 4' 08" al chilometro, ero convinto di dover andare più forte e invece un po' la cosa mi tranquillizza. Ero anche fiducioso che il tempo diventasse clemente e la pioggia prevista diventasse solo una pesante umidità, come quella della vigilia. E invece appena sbarcati in zona fiera la sorpresa non c'è stata. Cielo grigio su Milano e acqua a catinelle. Come dice Tito (Tiberti, nda) "Maratona bagnata... maratona bagnata!". Come dargli torto? Mi sono preso un buon margine per permettermi di non fare tutto di corsa, per cui al coperto nello spogliatoio-parcheggio mi preparo. Come sempre sono nervoso, le gambe tremano. Anche perchè non so veramente se il mio obiettivo delle 2h 55' sia abbordabile o un po' troppo visto il tempo dell'ultima maratona di solo quattro mesi fa. Fortunatamente incontro Luca con cui passo tutta l'attesa e mi distoglie il pensiero dall'agitazione. Entriamo in gabbia che manca poco meno di mezz'oretta alla partenza. Ma visto che tanto ormai siamo sotto la pioggia, meglio prenderla guadagnando qualche posizione in partenza. Siamo nella prima, esattamente dietro ai top-runners e quando entriamo non c'è praticamente nessuno. Non mi è mai capitato di partire così davanti in una gara così importante e un po' mi ringalluzzisco. Mi piazzo esattamente in mezzo e in prima fila. Siamo tutti coperti dai nostri sacchi della spazzatura in cellophane per evitare di bagnarci ancora prima di partire. Un po' facciamo ridere. Anche Silvio e l'altro speaker di giornata ne ridono un po', a qualche metro da me con il microfono in mano. La processione di runners che si muove verso la griglia di partenza è impressionante: 5100 per la maratona e più di 2000 per la staffetta (in totale lungo il percorso saranno poi 8000, nda). Arrivano fotografi e cameraman, la gabbia si riempie. I top-runners arriveranno solo pochi minuti prima dell'inizio e allora le macchine fotografiche e le telecamere cominciano a riprendere noi, quelli che corrono solo per piacere, quelli che fanno i sacrifici per esserci sempre, quelli che si sentono orgogliosi di essere lì e di poterlo dire. Quelli che corrono solo contro sè stessi. Passa qualche vip, Linus, Beppe Bergomi, e intanto il momento della partenza si avvicina. Il cellophane tiene caldo fortunatamente. La pioggia è costante e... bagnata. Il gruppo di cheerleader presenti occupa un po' la scena e si presta a qualche esibizione. Arrivano i top e saluto Tito, oggi io tifo per lui. Uno sguardo d'intesa e poi siamo sulla partenza. Iniziano le emozioni forti e non siamo ancora partiti. Lo speaker annuncia il minuto di silenzio per il calciatore morto il giorno prima. E' quasi assordante il nulla che si crea attorno a noi. Come se tutti avessero smesso di respirare assieme, come se tutti si fossero uniti in un unico grande abbraccio. Silenzio e niente altro. Anche la pioggia non fa più rumore. Brividi sulla pelle. Gli applausi si alzano solo dopo che il microfono ricomincia a parlare. Siamo runners. Il tempo di cantare l'Inno d'Italia in mezzo a tutti i nazionali che mi affiancano e poi è lo sparo. Praticamente non ho gap rispetto al tempo di gara, non mi è mai successo. C'è tanta gente lungo la strada appena dopo il via. Mi lascio trascinare dal momento, dalla posizione, dalla velocità di chi ha già preso decine di metri, come risucchiato. Non sono ancora sudato e sento e vedo Iacopo che mi saluta, grida e mi incita immortalando il momento. E allora sorrido, perchè nonostante tutto correre deve sempre essere solo un piacere. Mi rendo conto di essere fin troppo veloce, ma fino al primo chilometro non so rendermi conto in realtà di quanto. Quando guardo il cronometro e vedo 3' 40" rimango allibito. Urge rallentare. Subito. Lascio che quelli dietro mi passino, ma mi accorgo che tutte le volte poi cerco sempre di accodarmi e farmi trascinare. Controllo per i primi cinque chilometri e non salgo mai sopra i 3' 50". Non so se preoccuparmi o essere felice. Non voglio strafare all'inizio ed ho paura di pagarla più avanti, quando non si deve e il tempo per recuperare poi non c'è più. Il tratto fuori città finisce praticamente subito, in meno di venti minuti. Appena prima di avvistare in lontananza San Siro mi vedo superare da una faccia conosciuta. Lo affianco e riconosco uno dei tre pacers di Reggio Emilia. Questa volta corre da solo, anche se alle spalle ha un bel numero di seguaci. Saluto e lascio andare. Passando al fianco del Parco di Trenno comincia la parte di percorso che conosco. Zona San Siro, zona Deejay Ten. Vedo che il mio ritmo non è cambiato di molto, sempre sotto i 4', e un po' la cosa mi preoccupa. Però mi sento bene, le gambe girano a meraviglia, il fiato è perfetto. Piove, mi sento inzuppato, ma per lo meno i piedi sono ancora asciutti. Per poco. Quando ci avviciniamo al decimo chilometro so che siamo anche vicini al primo cambio della staffetta e quindi so che ci sarà finalmente un po' di pubblico. La zona ippodromo e stadio è praticamente un deserto bagnato. Si sente solo il rumore dei passi e la pioggia che cade. Mi guardo attorno e mi accorgo che le fila si stanno già allungando parecchio. In lunghi tratti corro praticamente da solo, superando o venendo superato di tanto in tanto. Passo i 10 Km in 39'. Allibito. Quando ci avviciniamo a Lotto la voce dello speaker si fa sentire e anche grida e applausi. Automaticamente il passo aumenta. Mi sento chiamare da qualcuno tra il pubblico che non riconosco, forse qualcuno della squadra. Poi mi volto e all'improvviso mi ritrovo la Dani che quasi si butta in mezzo alla strada. Mi aspettavo di vederla dieci chilometri più avanti e rimango sorpreso. Piacevolmente sorpreso. Qui comincia uno dei pezzi che temevo di più, quello tra l'inizio e il passaggoi alla mezza. Viali lunghi, poca gente per strada, la stanchezza che comincia ad uscire. Subisco un po' verso il diciassettesimo e il diciottesimo. Mi accodo ad un gruppeto di quattro atleti che mi sta superando e lascio che facciano loro per un po' il passo. Sempre un po' troppo veloce, ma almeno riposo un po' di testa. Mi accorgo che ormai tutta la tattica che avevo preparato è da buttare. Solitamente sono costante nel mio passo, o per lo meno tendo ad essere un po' più lento ll'inizio e ad aumentare alla fine. Esattamente il contrario di quello che sto facendo. Ma decido di lasciare che siano le sensazioni questa volta a guidarmi. Non senza timore. Entriamo in Corso Sempione dove la strada è divisa in due dalle transenne, dove i chilometri si affiancano divisi da quasi una mezza maratona. Prima si corre a sinistra, per entrare nel centro di Milano, poi a destra dove lanciarsi verso l'arrivo. Ma manca ancora metà gara. Al ventesimo chilometro ho il primo problema. Il gel che ho appuntato in vita mi si incastra e non riesco a toglierlo dai pantaloncini. Ci impiego quasi un chilometro perdendo quasi il ristoro. Mi accorgo di aver perso il passo, il ritmo, di avere il fiatone. Sento e mi rendo conto che la pioggia sta aumentando, comincio ad avere freddo. E' bastato distrarsi un attimo. Fortunatamente mi riprendo e mi riaccodo ai miei momentanei compagni. Passiamo al fianco dell'Arena e poi svoltiamo verso Porta Venezia. Pensavo di trovare molta più gente dato che siamo vicini all'arrivo, ma in effetti è ancora presto. I tratti di lastroni e pavè martoriano un po' le gambe e anche l'equilibrio in curva non è cosa semplice. C'è un po' di saliscendi. Leggero, ma che cambia un po' il ritmo. Guardo il passaggio ai 21 Km e rimango allibito, 1h 23', ancora sotto i 4' al chilometro. Comincio un po' a sognare, ma anche a rendermi conto che se non rallento un po' sarà davvero dura poi nel pezzo di circonvallazione che mi aspetta. Lo è stato un mese fa alla Stramilano, figuriamoci oggi. Sui Bastioni la gente aumenta, complice il secondo cambio della staffetta. Rimango solo, lo speaker mi saluta quando gli passo al fianco leggendo il mio numero di pettorale, 363. Poi ci buttiamo verso il centro. Il tratto verso Piazza San Babila è da fare nei due sensi, prima in andata e poi in ritorno. Dall'altro lato incrocio Tito, lo incito e lui ricambia. Poco più avanti è invece il turno di Marco che sta aspettando qualcuno da tirare, mi affianca per qualche decina di metri e mi fa forza. Entriamo in centro e so che dopo un chilometro c'è che mi aspetta. Passo il cartello dei ventisei e alzando lo sguardo vedo e sento Marco-mcg che mi saluta. Metto a fuoco e quasi mi viene un colpo quando riconosco anche Laura ed Eva. Passo davanti a loro, li guardo sbalordito mentre fotografano, urlano, incitano e mando un bacio al volo. Ho una scarica di adrenalina che mi fa aumentare di botto il passo. Me ne rendo conto. Giro attorno a Piazza Duomo e neanche mi accorgo di esserci. Ho gli occhi che mi si riempiono di lacrime, ma la pioggia le maschera fortunatamente. Cerco di rimettermi in sesto, svolto e ancora in lontananza sento gridare. Questa volta è Iacopo, dall'altra parte della piazza. Mi si disegna subito ancora l'ennesimo sorriso sulle labbra. Mi vede bene, lo sento. E anche io so che lo sto facendo. Appena l'adrenalina si smorza sento un po' di fatica e cerco di ritornare in carreggiata. So che prima di dieci chilometri non ci sarà più nessuno ad aspettarmi. Mi concentro sul passo, il respiro e rivivo i momenti che ho appena passato per non pensare alla fatica che comincia a farsi sentire. Il passo si è assestato sui 4' e comincio seriamente a pensare che forse sarebbe meglio rifiatare un attimo prima dei trenta. Sono ancora più veloce di quasi dieci secondi sul ritmo che avrei dovuto tenere. La pioggia non smette, anzi. I piedi cominciano ad inzupparsi, complici anche le pozzanghere che si formano a bordo strada e nei tratti con i lastroni. So che il pezzo di Circonvallazione fino al terzo cambio di sfaffetta è lungo e dritto. Pesante. Leggermente in salita. Passo al 30 Km in 1h 59', praticamente il tempo che avrei voluto fare sulla distanza. Mi spaventa. Perchè non so davvero come posso reagire più avanti. Ma tengo. Tengo duro più che posso. Mi sento chiamare alle spalle ancora una volta, ma non riesco a riconoscere chi sia. Poco prima del terzo cambio di staffetta inizio a sentire tirare i muscoli posteriori delle cosce. Principio di crampi. M'è capitato anche in allenamento. Fatica, pioggia e freddo cominciano a dare i primi segnali. Passo al fianco dello speaker-donna in mezzo alla strada. Ci incita. Mi incita. Un sorriso di ringraziamento e poi ancora avanti mentre la gente applaude e urla. Non ho nemmeno quasi fatto caso che era la domenica ecologia, senza traffico, senza clacson. Chissà se qualcuno ne ha sentito la mancanza. Certo per essere una domenica senza auto ce n'erano in giro pure troppe. Manca poco prima che ritrovi il mio pubblico in zona Buonarroti, ma i muscoli cominciano a ribellarsi. Sto bene di testa, sto bene di fiato, sto bene come sensazioni. Ma le gambe e piedi sono un disastro. Piedi inzuppati, le calze si raggrinzano sotto le dita, fradice. Non mi rendo conto di quanto sono bagnato, me ne accorgo solo rivendendo le fotografie del post-gara. Ma le gambe... i crampi iniziano forti. Sento le fitte diventare morse in più punti, dal polpaccio alla coscia su entrambe le gambe. Ad ogni passo ho paura di non riuscire più a proseguire, di bloccarmi. Diminuisco un po' l'andatura, di parecchio, per provare a farle riprendere, ma non cambia molto. Il pensiero di avere gli amici che mi aspettano poco più avanti mi fa continuare. Io mi accorgo di zoppicare, ma forse dall'esterno non si vede. Li vedo posizionati dove sapevo che sarebbero stati. Mi chiamano, mi incitano, ma questa volta non sono più sorridente come prima. Gli urlo che ho i crampi e passo. Riesco forse a fare ancora cinquecento metri e poi mi devo fermare. La gamba sinistra è completamente rigida, non riesco a correre. Mi passa un runner che mi dice di non fermarmi, ma non posso fare altro. Mi piego e provo con un po' di stretching per qualche secondo. Ho un po' di sollievo. Poco più avanti vedo un vigile che mi guarda. Mi accorgo che siamo soli. Le fila sono veramente molto lunghe. Provo a ripartire. Ho perso anche un po' la cognizione sul dove mi trovo. So che una volta tornati in Corso Sempione sarà finita. Riprendo i pochi che mi hanno superato mentre ero fermo, e mi rendo conto che comunque sia il passo è buono. Provo ad avere una corsa più sciolta, ma ogni volta che cerco di alzare e piegare le gambe le morse sui muscoli ritornano. Forti, decise. Dopo neanche un chilometro mi devo fermare ancora. Tiro tutte e due le gambe, ma so che non posso continuare così fino all'arrivo. Non sto più controllando il tempo, ormai è inutile. Però so che ho un buon margine. Vado a sensazione, cercando di fare attenzione al segnale che mandano i muscoli. Quando la fitta si fa più forte, rallento. E vado, vado, senza più fermarmi questa volta. Mi supera qualche coppia e mi rendo conto che anche l'idea di provare ad arrivare tra i primi cento è quasi ormai un sogno. Ma l'importante ormai è arrivare. La cosa che più mi fa arrabbiare è che mi rendo conto di sentirmi bene, sia di testa che di fiato. Nessun senso di crisi da calo di zuccheri. Ma forse le gambe stanno pagando pegno per l'andatura troppo sostenuta all'inizio. Poi la pioggia e il freddo hanno fatto il resto. E il freddo comincio a sentirlo. Diminuendo il passo anche la temperatura corporea è scesa, immancabilmente, mentre la pioggia ancora una volta non smette. Mi ritrovo in Corso Sempione, questa volta nella corsia di destra. Dall'altra parte delle transenne una fiumana di gente è ancora venti chilometri più indietro. Ci penso e mi rendo conto che sto andando forte, non ci avevo ancora pensato. Me ne rendo conto e la cosa mi da energia, fiducia. Guardo dritto davanti l'Arco della Pace che si staglia in mezzo ai palazzi. E vado. Cerco di trattenere i crampi che provano a fermarmi ogni volta che mi lascio trascinare dall'entusiasmo di chi ci incita e aumento il passo. Passo i cartelli del trentonovesimo e del quarantesimo. Vorrei guardare il cronometro, ma come a Reggio non voglio farlo prima dell'ultimo chilometro. Un po' per scaramanzia, un po' per non farmi condizionare, sia in negativo che in positivo. Al quarantesimo una pozzanghera enorme non ci permette di fare altro che inzupparci i piedi fino alla caviglia. Per fortuna siamo ormai arrivati. Poche curve e poi vedo ancora Iacopo davanti che mi incita e mi urla a più non posso. Lo passo e mi si affianca correndo insieme a me per qualche centinaio di metri. Non sono solo. Al 41 Km guardo il cronometro e rimango senza fiato, 2h 46'. Quasi non ci credo. Non so più a quando sto andando, ma ormai il personale l'ho annientato anche se dovessi strisciare. Contro ogni logica e previsione. Vorrei fare gli ultimi mille metri dando tutto, ma le gambe non me lo permettono. Mi infilo tra le transenne sovrastate dalla folla presente all'arrivo. I cartelli scandiscono i metri che mancano all'arrivo ogni cinquanta. Vedo Marco-mcg, Laura ed Eva. E penso anche a tutti quelli che so che mi stanno seguendo da casa. Li sento. Li ho avuti al fianco per mesi e sono tutti lì con me in quel momento. Ultima curva e vedo spuntare l'orologio sopra la linea di arrivo. I secondi volano inesorabili e voglio fermare i minuti prima che scattino a cinquantadue. Faccio un patto con le gambe e prometto che mi fermerò appena passata la linea della fine. Guardo Silvio Omodeo con in mano il microfono. Sento gli incitamenti della gente. Sono solo, non ci sono altri. Scoppio di emozioni e passo sotto il traguardo con le mani in faccia per nascondere le lacrime. E mi fermo. Mi piego sulle punte dei piedi per tirare le gambe e non cadere a terra. Mi guardo attorno e non ci credo. Ho il fiatone, ma non per la corsa. Quella ormai è finita. Ho il cuore che batte a mille. Guardo il cronometro dopo i 42,195 Km che segna 2h 51' 53" (100° assoluto, 60° tra gli italiani). Silenzio. Cammino slalomando tra fotografi, infermiere ed hostess. Ritiro la Mia Medaglia e me la infilo al collo, subito. Quanto l'ho sudata. Piove ancora, ma è come se ci fosse il sole. Ho solo freddo. Vedo e sento Iacopo arrivare di corsa seguito poco dopo dagli altri. Parliamo divisi da una rete di ferro. Li vorrei abbracciare. Ho gli occhi che mi si riempiono di lacrime, ancora. Sorrido come un bambino. Mi chiedono com'è andata e anche loro non ci credono.
Adesso che è finita, che la mente è tornata lucida, mi rendo conto che è stata davvero una pazzia. Chi corre sa cosa vuol dire sbagliare anche solo un piccolo dettaglio in gara, che sia abbigliamento, che sia ritmo, che sia un gel. E forse il finale è il risultato dell'aver osato troppo. Però ho avuto quell'arma in più che mi ha permesso di non mollare, nonostante tutto. E li ringrazio. Vi ringrazio. Chi era presente, chi era davanti alla tv, chi era davanti al pc, chi sta anche solo leggendo ora queste pagine. Perchè davvero questa volta non mi sono sentito solo. E' iniziato tutto con una giornata di pioggia. E piove ancora. Ma come dice Tito, "Maratona bagnata... maratona bagnata!".

Ultimo aggiornamento (Martedì 24 Aprile 2012 00:22)

 
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