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Il deserto sportivo e i tartari nostrani

Rubriche - Commenti e Opinioni

Spero nel perdono di Buzzati se lo trascino nei problemi terraterra che ci toccano da vicino e per i quali ci sforziamo di trovare, ahimè senza risultati, le soluzioni. Se non altro perché anche lui fu vero sportivo (alpinista praticante) e pure giornalista (ciclismo soprattutto) in una breve parentesi del secondo dopoguerra.

Leggendo le varie teorie e vicissitudini che periodicamente montano sul web in merito ai rapporti tra i vari attori sportivi preposti ad operare sul territorio nazionale, ultima vicenda il trail di Trecate, mi viene in mente “Il deserto dei Tartari” di Buzzati e la Fortezza Bastiani, magistralmente descritta come il non luogo per eccellenza. Luogo dove non succede nulla se non la consunzione degli uomini che la abitano. Fin troppo facile immaginare che la nostra Fortezza Bastiani si sostanzia nella Federazione. E altrettanto facile immaginare che il deserto sia quello che anno dopo anno il Coni estende sullo sport nazionale. Ogni tanto, qua e là, un cespuglietto verde che secca nello spazio di un mattino.

Il nostro fenomeno sportivo viene partorito insieme alla neonata Italia e nasce dalle idee illuminate di Don Bosco che rivendicava per i suoi fanciulli un’attività motoria “ri-creativa” in contrapposizione all’attività motoria “lavorativa” che a piene mani svolgevano fin dalla più tenera età con lunghissime giornate lavorative.

Subito dopo e su scala mondiale, il Barone De Coubertin propone la rinascita dello sport olimpico in chiave aristocratico-borghese: che lo sport sia universale, veramente per tutti, purchè questi tutti appartengano ai gruppi elitari dominanti i Paesi di allora. Giustamente, questo sport ripescato nell’antichità non può non inglobare anche il “concetto di agonismo”. Concetto insieme allo stesso sport sopito per molti secoli in quanto troppo terreno, barbaro e corporale in contrapposizione alle teorie ecclesiali che guardavano in tutt’altra direzione.

Nei primi anni del ‘900 intervengono nello sport le Società di Mutuo Soccorso e altre organizzazioni operaie per invitare i lavoratori ad un’attività che facesse bene alla salute e che tenesse lontani vino e tabacco. A tener lontane le donne ci pensava la Chiesa cattolica. Non si deve poi dimenticare l’ Esercito che preparava i suoi soldati. Le sale di scherma; ed il tiro a segno, considerato sport e organizzato capillarmente su tutto il territorio nazionale.

In questo quadro ricco di attori, irrompe dopo la prima guerra mondiale il fascismo. Attraverso il Coni impone, diffonde e mette in ordine i concetti decoubertiani ad uso e consumo del Paese, in un modello che coinvolge tutti i cittadini italiani senza alcun distinguo attinente la pratica sportiva e vengono spazzate via le varie forme di proposta sportiva che faticosamente erano venute alla luce.

Nel secondo dopoguerra nascono gli Enti di Promozione Sportiva (EPS).Nascono proprio per raccogliere quella fetta di praticanti che sportivamente si attivano al di fuori dei concetti del Coni, superando i suoi dettami che rimangono immutati nel passaggio tra fascismo e repubblica. Il concetto cardine che ordina tutto l’impianto della pratica sportiva interna al Coni è quello dell’agonismo: pronto, cieco ed assoluto…… E nell’arco degli anni purtroppo immutabile, in una società in continuo mutamento.

Gli EPS provano a modificare la rotta ma non ci riescono (o ci riescono solo in parte), stretti nella morsa del Coni dal quale dipendono in tutto e per tutto; un Coni che non riesce o non vuol capire che il suo concetto di “agonismo” è ancora valido ma non più egemone; che accanto al primigenio agonismo altri agonismi sono nati. Le frizioni che si susseguono periodicamente hanno origine da qui. Fintanto che non verrà sciolto questo nodo (mi sia permesso di definire culturale) non ci sarà alcun regolamento più o meno condiviso che potrà permettere ai cittadini una pratica sportiva degna di una società moderna.

Il Coni si è costruito il suo deserto e da esso non vuole uscirne. Lo presidia attraverso le sue Federazioni, chiuse nelle loro fortezze in attesa che arrivi qualcosa che giustifichi il loro stare all’erta. Un qualcosa che non arriverà mai. E quando arriva…….non è quello che ti aspetti: la guarnigione della fortezza Bastiani si aspetta l’arrivo di un esercito di guerrieri con i quali misurarsi e dare un senso alla sua inutile vita e invece chi si trova di fronte? Un drappello di militari cartografi (epperò sempre Tartari…epperciò nemici) che controllano la corrispondenza tra i reali confini e quelli trasposti sulle carte.

Per quel che ci riguarda, è ormai acclarato che i nuovi confini agonistici non corrispondono. Occorre ridisegnarli sulle carte (diciamo scartoffie), in gergo tecnico aggiornarle, altrimenti nella fortezza Bastiani/Fidal si susseguiranno ciclicamente inutili fermenti che da Bolzano a Canicattì non serviranno a nulla se non a clonare centinaia di inutili Tenenti Drogo che comanderanno altrettanto inutili guarnigioni, di cui la maggior parte dei componenti, tra l’altro, non riceve il ….soldo.

Grazie Buzzati del tuo capolavoro. Pieno di malinconica fantasia, superata da un’altrettanto malinconica realtà di tutti i giorni.

 

 

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 18 Aprile 2012 22:54)

 
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