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Monza - 52^ Monza - Resegone

Lombardia - Primapagina

Monza_Resegone_2012_squadra_17_foto_Roberto_MandelliVince la vita!

Sabato 23 giugno, ieri l’altro, ho preso parte alla 52^ edizione della Monza Resegone, la mia seconda partecipazione attiva a quella che sono solita definire  “la corsa più bella del mondo”.
Sono partita, emozionatissima, con i miei compagni di squadra, Mauro e Sabrina, il pettorale n. 17 spillato alla coscia destra, chip B.
Non racconterò della mia gara, sono una podista lenta, di quelle che se la prendono comoda, anche se l’ho vissuta e corsa benissimo, con un entusiasmo nel cuore ed una leggerezza nelle gambe insolite per me da parecchio tempo, addirittura come non mi è mai capitato nelle altre 33 maratone concluse. E non mi dilungherò neanche nei dettagli che ci hanno fatto arrivare al “cancello” di Erve con un ritardo di un minuto, quel minuto che significa però l’esclusione dalla classifica.
Ciò che voglio raccontare va al di là della corsa, anche se ne è parte imprescindibile.
Il mio gruppo sportivo - già, non ne sono più il presidente, ma lo sento ancora molto “mio” -  partecipava alla gara con due squadre miste: la mia, più lenta, e l’altra, più veloce, col  pettorale 45 composta da Gigio, Maria e Stefano, mio marito.
Partita dopo di noi, la squadra 45 “pensiero stupendo” ci raggiungevano intorno al 25° chilometro, con una corsa sciolta e concentrata.
Andava tutto bene, ma intorno al 35° Stefano, in preda alla fame, decideva di mangiare dei pezzetti di banana. Al cominciar della salita di Erve, già prima di entrare nel bosco, con le gambe che giravano bene, sempre correndo, Stefano iniziava a provare un senso di fatica che aumentava passo dopo passo. Inutili i tentativi da parte di Gigio, di ottenere da Stefano una risposta grintosa,  non era la  crisi del 35°….
Intorno al 40° infatti,  Stefano si fermava appoggiando la schiena alla roccia:il respiro s’era  fatto troppo corto, i battiti salivano…
Maria, intanto, inconsapevole della gravità della situazione, decideva di  proseguire lungo il sentiero per non intralciare la salita delle altre squadre: il passaggio, del resto, in quel punto è stretto.
Intanto per Stefano le cose andavano di male in peggio: non potendo proseguire si accasciava, soccorso da un  volontario della CRI che vista la situazione chiamava in aiuto altri soccorritori.
Di lì a poco arrivavo, anch’io, determinata con i miei compagni a salire fino al capanno anche fuori classifica: la mia amica, purtroppo, era stata vittima di crampi prima di Erve: non ci importava più il tempo, volevano tuttavia arrivare fino in fondo.
Non saprei ridire cosa ho provato quando d’un tratto ho visto i soccorritori intenti ad aiutare un atleta adagiato in barella, né saprei spiegare quali pensieri hanno attraversato la mia mente quando in quell’atleta pallido e spaventato ho riconosciuto l’amore della mia vita, la mascherina dell’ossigeno sul viso per respirare.
So solo che controllata l’emozione, a quel punto decidevo di non proseguire, nonostante tutti cercassero di allontanarmi: non l’avrei mai fatto
Mi sono avvicinata a Stefano, accarezzandogli il viso, ho provato a parlargli: era vigile, ma si capiva che stava molto male. I volontari della CRI intanto avevano deciso di spostarlo con la barella al ristoro del Forcellino, poco più in alto: lì c’è più spazio e avrebbero potuto controllare meglio la situazione.
E mentre Sabrina e Mauro decidevano di aspettarci al Forcellino, io seguivo la barella insieme a Gigio.
Con la radio i soccorritori chiedevano al Capanno l’intervento urgente dell’infermiere. Non so quanto tempo fosse passato dal nostro arrivo al Forcellino all’arrivo dell’infermiere. Di notte, al buio, il tempo si dilata: Stefano voleva dormire, si assentava, ma noi dovevamo tenerlo sveglio…Poi l’arrivo di Jacopo, l’infermiere, un ragazzone molto giovane, dai bei modi, che si muoveva con la sicurezza e la  professionalità di un uomo esperto.
Intanto Stefano continuava a stare male: i parametri vitali non andavano bene: cercavo di capire qualcosa: erano momenti concitati, avevo sentito che Stefano era in ipotermia, che bisognava tenerlo sveglio e farlo parlare, nonostante avesse voglia di dormire e parlasse a fatica. Due volontari insieme a me si alternavano a pizzicarlo, a stimolarlo con piccole sberle sul viso sempre più pallido….
Stefano intanto stava tremando. La sua pressione era molto bassa, bisognava dargli del glucosio per vena, ma le vene, solitamente visibili e grandi, s’erano fatte piccole, piccole.
Di nuovo il contatto via radio col medico al Capanno: comunicati i parametri vitali,  si decideva di portare Stefano su, per i 2 km che ancora rimanevano, con una barella speciale, la “Kong” che ha incorporato un grosso sacco arancione, nel quale, mi assicuravano, Stefano sarebbe stato più caldo e immobilizzato durante il trasporto.
Alle estremità di questa barella, sulla quale nel frattempo avevano traslato e immobilizzato Stefano, erano stati montati due grossi bracci che terminano con uncini imbottiti: erano gli spallacci che i volontari avrebbero utilizzato per l’ascesa.
Eravamo pronti a  ripartire!
E’ stato un viaggio duro, lungo e faticoso: i volontari, otto per l’esattezza, proseguivano tra le rocce, al buio, alternandosi con la barella, sotto lo sguardo attento di Jacopo che non cessava di dare loro indicazioni su come muoversi.
Durante la salita, da tergo io e Gigio avvertivamo la fatica dei volontari che spesso scivolano e in molti passaggi erano costretti a deporre la barella per farla scivolare tra le rocce.
Recavano sulle loro spalle un fardello enorme: la vita di un atleta alto  1 metro e 93 centimetri per 80 kg.
Come fratelli maggiori a turno lo facevano parlare. Gli chiedevano del  suo lavoro, delle sue passioni, della bimba di sua sorella nata da poco più di un mese…Ogni tanto gli controllavano i parametri, subito comunicati al medico via radio, passando da Erve, che serviva da “ponte”, perchè il segnale era debole…
Stefano reagiva flebilmente. Qualcuno mi ha detto di provare a spronarlo.
Ecco ora toccava a me. Alla sosta successiva, col mio consueto modo di fare energico, talora sgradevole, mi avvicinavo al mio amore e guardandolo fisso negli occhi, chiedevo la sua attenzione e gli raccontavo della fatica dei soccorritori, ragazzi che stavano  rischiando la loro pelle per salvare la sua…Gli  intimavo di stare sveglio, gli ripetevo che doveva farlo almeno per loro, per rispetto della loro fatica: sapevo di aver trovato il giusto argomento: Stefano rispetta la fatica altrui e sapevo che non avrebbe mollato.
L’ascesa proseguiva lenta, ma Stefano incominciava a stare: riusciva a tenere gli occhi aperti, a capire cosa stava succedendo intorno a lui.
Incominciò a capire che lo stavano portando a spalla, lungo il sentiero che ha corso già cinque volte dal 2007, tra rocce e dirupi.
Intanto i soccorritori, esausti, chiedevano rinforzi, gente fresca che li potesse aiutare. Ma anche con i nuovi arrivati la salita era dura. A duecento metri dall’arrivo, fermavano la barella per verificare di nuovo i parametri: il sentiero è troppo ripido e Stefano consapevole della difficoltà, chiedeva di poter camminare fino all’arrivo.
Slegato ed avvolto in due ampi teli di alluminio, circondato dai suoi salvatori, raggiungeva infine con le sue gambe il traguardo. Dal momento del malore erano passate tre lunghe ore e s’era fatta l’alba: l’arrivo al traguardo scortato dai suoi angeli custodi è stato accolto da un applauso di chi s’è attardato al capanno, procrastinando la discesa….
Tutto è bene quel che finisce bene: dopo il controllo medico e un riposino, incominciavamo insieme ai volontari, agli angeli della montagna, la nostra discesa verso Erve per il sentiero san Carlo.
Agli angeli custodi della montagna va la mia eterna gratitudine. Ho rintracciato i loro nomi, appartengono tutti alla CRI.  In ordine sparso sono  Pietro Clerici, Angelo Frigeni, Mauro Mafferssoni, Stefano Marchesi, Claudio Meroni,  Roberto Pagani,  Alberto Pasquini, Carlo Bassi, Alessandro Bussolino, Matteo Carando, Michele Gabino, Gianluca Toccafondi, Mattia Minoli, Cesare Giana, Andrea Marinello, Fabio Orlando, Vittorio Ortelli, Davide Pusterla, Jacopo Sbrega, Lorenzo Guiotto, Marino Limonta, Elvira Miccoli, Giunone Daniele, Donatella Lodetti e Katarzyna Bytys.
Questi ragazzi con la loro professionalità, il loro impegno, la loro forza hanno salvato una vita, quella a me più cara.
Questa è la cronaca della mia Monza Resegone 2012. Il vincitore è la vita!

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(Foto di Roberto Mandelli - Podisti.Net)  SERVIZIO FOTOGRAFICO

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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 27 Giugno 2012 01:30)

 
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