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Busana (RE) – 10^ Ecomaratona del Ventasso

Emilia Romagna - Primapagina
Busana_Ecomaratona_Ventasso_2012Maratona di Torino 2004; Monza – Resegone 2006. Manca, nel lungo elenco delle gare da me disputate e che mi hanno maggiormente emozionato, quella che a buon titolo potrebbe occupare il terzo gradino del mio personale podio. Da ieri, nell’elenco delle pretendenti alla medaglia di bronzo,  è prepotentemente entrata la decima edizione dell’Ecomaratona del Ventasso.
Sabrina ci è affezionata a questa gara e alla splendida cornice nella quale si svolge,con doppio pasta party e quell’amichevole accoglienza che da quelle parti ti viene trasmessa naturalmente. Diventa così, questa nostra partecipazione, il mio regalo per il suo compleanno e se ci aggiungiamo che altri amici ne faranno parte, formando un’allegra e spensierata combriccola, la confezione del “pacchetto” diventa completa.
Il via è previsto alle 8.30, ma quello che non era previsto, Minosse o Lucifero a parte, era il caldo. Secco, quasi africano e i 30 gradi che già avvolgono i circa 300 avventurieri che si “perderanno” tra quelli che vengono definiti, sempre da queste parti, i sentieri del lupo.
Dopo un saluto a Sabrina, e un augurio di buona gara a Catena e Gigi, e mentre Simone e Stefano partono in prima fila, battaglieri e performanti quali sono, io mi defilo qualche posizione dietro, ripetendomi una frase dettata più dalla mancanza di allenamento specifico sulle lunghe distanze che alla mancanza di autostima. “Devi andare di conserva.. e vedi come stai”: questo sarà lo slogan che mi accompagnerà lungo i 42km e gli oltre 2000 metri di dislivello che mi riporteranno quaggiù, a Busana, non so quando e, soprattutto, come.
Un primo giro per saggiare la “gamba” ed una prima asperità, corribile come tante altre, mi porta abbastanza velocemente al decimo chilometro, non prima di aver visto Monica (“la Casiraghi” per tutti) scarica mentalmente e con un’andatura sicuramente non consona alle sue capacità.
Si ritorna in paese, e mentre Monica si ritira, io inizio a scendere su quel lungo e divertente single track che mi porterà all’attacco del terribile “Tirone” e che porterà, purtroppo, Simone al ritiro. Per chi non sa cos’è il “Tirone”, consiglierei almeno una volta di provarlo: oltre sei chilometri di salita su sentiero, interrotto nel suo sviluppo iniziale dal passaggio nel paese di Nismozza; e 750 metri di dislivello, che ci porterà sulla prima delle due cime previste dal percorso.
E dopo aver camminato quasi sempre nella sua prima parte e quasi sempre corso nella seconda, giungo alla vetta della Maddalena in 2h15. Sono venti i chilometri già percorsi e grossomodo 1500 metri di dislivello: questo rappresenta un buon tempo che mi consente di correre quasi per intero la sua boschiva cresta. Passaggio al lago di Calamone, dove una bambina pensa bene di addolcirci la pillola lanciandoci manciate di sabbia, e poi di nuovo su, in quello che è considerato a buon titolo il gran premio della montagna.
E che montagna! A dispetto della sua quota non eccessiva, poco oltre i 1700 metri, presenta nel suo sviluppo finale un sentierino che sale dritto per dritto verso la croce: ad occhio e… croce un chilometro e mezzo con i suoi bei 300 metri di dislivello. Nella sua fase finale e più dura alzo gli occhi al cielo: la vetta non si vede ma, distribuiti, vedo alcune decine di atleti che davanti a me la affrontano a schiena piegata. Chiedo ad un “commissario” quanti ne sono già passati e la risposta mi lascia di stucco: “una quarantina”. Sinceramente non pensavo di essere così avanti e pur ripetendomi lo slogan coniato in partenza, lo spirito trail che mi ha accompagnato fin lì lascia spazio ad un atteggiamento più da “gara”. Due ore e 51 minuti e “sfioro” la croce e non solo. Mi sembra di toccare il cielo con un dito mentre il meraviglioso single-track appoggiato sulla sommità del Ventasso e lungo circa un chilometro, mi regala meravigliose sensazioni. Ora è sky, sky vera: sopra di me solo l’azzurro del cielo e sotto un sentiero soffice ed accogliente come una nuvola. A destra la lunga salita e la splendida cornice dell’Appennino tutt’intorno e in fondo, alla mia sinistra, addirittura il Mar Ligure: quello delle Cinque Terre!
Tira vento sul Ventasso, e non potrebbe essere altrimenti, ma un vento piacevole che mitiga il caldo torrido al quale siamo sottoposti dopo cotanta salita.
Finisce la cresta e si ritorna giù a capofitto in un sentierino ripido e tecnico, sul quale mi diverto ad evitare gli alberi come Gustavo Thoeni e Piero Gros si divertivano a schivare i paletti fissi negli slalom di quarant’anni fa.
Sentiero che mi riporta alla piana dove vi è appoggiato il Lago Calamone, ridotto dalla siccità a qualcosa che assomiglia più ad uno stagno che ad un lago; e dopo essermi rifocillato in uno dei tanti ristori, mi catapulto verso il trentesimo km dove, dopo una leggera salitina, comincio a fare i conti con la fatica.
E qui inizia per me, e non solo per me, un’altra gara. Un crampo, subito debellato dall’andatura leggera in discesa e poi la testa che comincia a chiedere la fine; le gambe che cominciano a presentare il conto e un’interminabile, larga, assolata e polverosa carrareccia tutta “mangiaebevi” che mi spacca il ritmo. La soffro, come mai ho sofferto finora. Il lungo tratto “sky”, grossomodo 22km dei 42 totali, lascia lo spazio a questa noia mortale, accentuata maggiormente da una condizione atletica che non mi permette più di correre come vorrei, ma che mi consente a malapena di camminare come non dovrei. Sui tratti in piano, ma soprattutto sulle discese, riesco ancora ad abbozzare un decente passo ma le salite, peraltro non particolarmente insidiose, risultano a questo punto devastanti.
E in particolare l’ultima, lunga un buon chilometro, dove vengo raggiunto dall’unico atleta che ha più birra di me. Mi domanda di che categoria sono (tipico degli stradaioli, penso) e dopo la mia risposta mi comunica che siamo della stessa, prima di andarsene con un piccolo ma efficace passo di corsa ben più appagante del mio claudicante passo di… passo. Ancora non lo so ma in quel momento sto perdendo la vittoria nella MM50, anche se la mia unica preoccupazione è quella di raggiungere l’agognato ristoro del 39°, al termine di quella terribile e lunga salita. Da lì in poi sarà solo discesa, finalmente, e torno a correre di buon ritmo, con energie recuperate non so da quale serbatoio. Taglio finalmente il traguardo con il cronometro che dice 4h51 minuti e la colonnina di mercurio che segna +34. Sono stanchissimo: i miei due unici desideri sono un po’ d’ombra e una doccia gelata; invece mi fermo a chiacchierare, al sole cocente dell’una, con Simone e Stefano, entrambi ritirati. La doccia gelata la troverò poco più tardi; come troverò, in rapida successione, quattro birre belle fredde che immediatamente mi riportano sulla terra.
Attendo l’arrivo di Sabrina, che giunge tranquilla in sette ore esatte e poi tutti sotto il tendone a festeggiare, chi contento e chi meno; la splendida, caldissima e faticosissima domenica del “Ventasso”. Amici, birre e quelle mille suggestioni che solo una gara sofferta come questa riescono a regalare e che ti frullano nel cuore e nella testa: solo così si riesce ad occupare un gradino sul  podio delle mie emozioni,  quel podio che da ieri anche l’Ecomaratona del Ventasso a pieno titolo può pretendere.

Ultimo aggiornamento (Martedì 10 Luglio 2012 23:01)

 
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