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Incontriamoci al MC doping

Rubriche - Commenti e Opinioni

Vigan_Luigi_225x300_Foto_Roberto_MandelliOgnuno di noi è entrato almeno una volta in quella catena di esercizi commerciali dediti alla ristorazione veloce. Ogni sportivo, se vuole, può accedere alla catena del doping; catena, strutturata nel mondo intero, proprio come l’altra: facilità di accesso, velocità nel servizio, ampia scelta sia in quantità che in qualità, prezzi tutto sommato abbordabili, vetrine che ti ammiccano compiacenti per invogliarti ad entrare e…..consumare. Unica differenza: non c’è il marchio. Mc Doping è pressoché invisibile. Proprio come la mafia. Se qualcosa di tanto in tanto appare, è pronto all’opera il pompiere di turno che con abbondante schiumogeno soffoca l’incendio e copre tutto. Se lo schiumogeno scarseggia, a coprire ciò che ancora emerge provvede l’ignoranza del popolo sportivo. Personalmente mi preoccupa il fatto che tra tutti questi aspiranti pompieri non c’è differenza tra lo sportivo da televisione e quello da campo; tutti schiumano a più non posso. Non credo che tra le migliaia di schiumatori o aspiranti tali, la faccia da padrone la cattiva fede o, peggio ancora, la connivenza. Gradirei essere nel giusto pensando a un pò di buona fede e a tanta tanta ignoranza. Non vorrei che qualcuno si offendesse ed allora chiarisco. Alcuni certamente si ricordano che Lentini (giocatore di calcio in forza al Milan) distrusse la sua sportivissima macchina perché, montato il ruotino di scorta, credette di poter ugualmente andare a 200 all’ora. Ignoranza riferita al contesto sportivo dell’automobilismo. La sua intelligenza calcistica, invece, era nella media dei professionisti pallonari di allora. La fortuna ci mise del suo: nessuno morì e lui si portò a casa la pelle.

E sempre con un pò di fortuna, finora la nostra tribù non ha subito lutti (almeno sembra). Ma per rinsavire, per essere un po’ meno ignoranti, è proprio necessario dover piangere qualcuno? Non è forse meglio inquadrare il problema per quello che è, cioè riconoscere che prima di tutto il doping è un’aberrazione chimica e come tale va trattato? E che deve essere trattato senza valutazioni soggettive del tipo: questo è un mio conoscente; in quanto tale, non può essere dopato perchè io non posso essere amico di un dopato. Questo strisciante pensiero occupa parecchie righe in troppi commenti. Questo modo di pensare non fa altro che assolvere (quando se ne presenterà la necessità) anche il più marcio dei tapascioni. Di conseguenza vale come un’assoluzione collettiva. E’ questo che vogliamo? Se sì, armiamoci di coraggio e diciamolo apertamente. Però ricordiamoci che il Mc Doping dei professionisti dispone di servizi professionali. Il Mc Doping dei tapascioni è poco più di un self service. Con tutto quello che ne potrà derivare.

Le conseguenze per i professionisti non mi interessano più di tanto. Mi preoccupano invece quelle che potrebbero toccare da vicino il nostro mondo. Che per quanto mi riguarda non è il mondo federale nella sua totalità. Gli atleti assoluti (ormai presunti tali) hanno i loro anticorpi per limitare i danni qualora dovessero andare al Mc Doping a farsi uno spuntino. Mentre quei pochi anticorpi patrimonio del nostro mondo, oltre ad essere pochi non funzionano, proprio perché la s-conoscenza collettiva impedisce loro qualsivoglia strategia di intervento.

Se vogliamo capire il valore della cultura collettiva in un determinato contesto, possiamo prendere ad esempio la donazione di sangue. Ci son voluti decenni di informazione per convincere tutto il Paese che donare il sangue è bello e buono, in ogni senso. Ed è pure salutare. Solo I Testimoni di Geova non si sono convinti ma non disperiamo. Nel terzo millennio quei cittadini italiani che non donano sangue lo fanno per due motivi: o non possono o non vogliono, senza se e senza ma. Per raggiungere questo risultato non si sono fatte campagne pubblicitarie una tantum, non si sono ingaggiati testimonials eccellenti. Si è fatto un lavoro oscuro di convinzione, di informazione, di presenza nei posti più disparati ed insperati, di durata nel tempo, con una struttura “maratoneta”. Ce lo dimostra la storia dell’Avis, anche se qualche volta si è macchiata di più d’una nefandezza.

Il Coni, le Federazioni, la nostra, invece sono completamente assenti salvo alcune iniziative di facciata fatte così, tanto per tacitare i rompipalle di turno oppure per rincorrere una moda. Ricordate dove furono trovate le migliaia di autocertificazioni antidoping che furono firmate dai tesserati di ogni ordine e grado in occasione dell’iniziativa “Io non rischio la salute”? Quintali di carta preda dei topi e dell’acqua, in uno sgabuzzino del Coni. Se ben ricordo, all’Acqua Acetosa.

Non solo. La nostra Fidal, ha impostato tutto il suo progetto di tesseramento esclusivamente sui numeri, senza pensare un attimo alla qualità dei suoi tesserati. Una specie di Equitalia dello sport, basta riscuotere. Non solo, ha in animo di indire anche il tesseramento individuale, così da aggirare le società sportive, ultimo e fragilissimo baluardo per divulgare un minimo di cultura sportiva.

In un futuro molto prossimo, se non succederà nulla di nuovo, saremo tesserati di una Federazione che da una parte (a parole) combatterà il doping e dall’altra, al suo interno, si troverà degli spacciatori. E’ già successo in passato, ma gli spaccia erano professionisti. Nel futuro, saranno apprendisti stregoni. Bella differenza, vero?

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(Foto di Roberto Mandelli - Podisti.Net)

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Ultimo aggiornamento (Giovedì 12 Luglio 2012 01:32)

 
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