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La mia (improvvisata) 100 km del Passatore

Ultramarathon - Ultra - Aprile 2012

Pazzia solo pazzia, la mia: iscriversi il giorno 15 maggio2012 penso non sia da tutti. Dici: “Tant’è, con l’ esperienza e la forza di volontà, mi ripeto che ce la devo fare e/o quanto meno devo trovare il sistema di essere lì e partire”.

Eccole già qui le prime difficoltà. Comincio a chiedere chi mi può aiutare in quella che sarà per tutti la “nottata” e qui iniziano i primi problemi. Con tutti gli amici che conosco, stento a trovare chi mi potrebbe accompagnare, in quanto la richiesta è dell’ultimo minuto e se c’è una colpa, quella è solo mia (avrei dovuto pensarci prima, una persona normale lo sa). Ad un certo punto penso anche di rinunciare, mal che vada ci rimetto i soldi dell’iscrizione, mi dico. Metto al corrente della mia iscrizione mio cognato Massimo (già mio fedele accompagnatore nell’edizione del Passatore del 1997) e lui annuisce esprimendo comunque il suo assenso alla mia partecipazione che sarà il sabato successivo, ma non dà la sua disponibilità. Ne parlo allora con mio fratello Andrea che mi risponde che purtroppo, il giorno precedente, aveva dato la sua disponibilità ad accompagnare una squadra femminile di giovanissime ad un torneo di pallavolo che durerà 24 ore.

Ed intanto passano altri 2 giorni e non so cosa fare, mentre, all’alba del terzo giorno di primo mattino, mio cognato mi dice che è disponibile ad accompagnarmi insieme a mia sorella Raffaella. Non mi sembra vero, ho quasi la sensazione di aver fatto “bingo”.

Nel frattempo, avevo già cominciato gli “allenamenti”: 15 km - martedì giorno dell’iscrizione; 9 km al giovedì alla corri x Padova; 18 km il sabato 19 maggio e 21 il giorno dopo di domenica. Poi ancora 11 km lunedì; 12km il martedì; 12km il mercoledì e, infine, 8 km il solito giovedì in occasione della corri x Padova, dove, spargendo la voce di questa mia partecipazione al Passatore, mi accorgo che ci sono anche altri miei amici che parteciperanno. A questo punto arriva venerdì, il tempo di acquistare in farmacia i cerotti da mettere sotto i piedi e che mia moglie prepari i viveri, e ci troviamo già pronti per partire insieme ad altri due miei amici, Giacomo ed Andrea.

“Si va”, penso, e già in macchina cominciano ad uscire le strategie sulle quali ognuno di noi si baserà per affrontare la gara ed in che modo i nostri due assistenti faranno a seguirci nel caso ci distanziassimo troppo tra di noi. Sosta in un autogrill colmo fino all’inverosimile con leggero pasto a base di riso, qualche biscotto ed un po’ di frutta, l’immancabile caffè e si riparte. Arriviamo finalmente a Firenze e, dopo le tante volte che siamo venuti qui a correre tra maratona e 100 km, l’emozione che prima ci aveva fatto dimenticare a casa il navigatore, adesso ci fa anche quasi sbagliare strada. “Ci siamo”, mi sto dicendo, “un po’ alla volta sempre più vicini alla meta”, il riso anziché andar giù nel fondo del mio stomaco sta salendo verso la mia testa che sembra già intasata di pensieri… “Ce la farò, non ce la farò” ed invece mi tornava alla mente sempre più la frase: “Sono un pirla, sono un pirla! (anche se non sono milanese)”.

Riusciamo finalmente ad arrivare vicino alla zona di consegna dei pettorali e, visto che sono già le 13.10, decidiamo di lasciare i nostri due accompagnatori a badare all’auto ed invece noi tre partiamo alla presa del pettorale. Questo ritiro si rivelerà più difficile del previsto con una fila interminabile di persone sudate, accaldate e preoccupate di non riuscire a ritornare ai propri posti di combattimento scelti in precedenza per cambiarsi, per incerottarsi, per ungersi delle essenze più strane e maleodoranti immaginabili. Poi, una, due, tre foto prima della partenza ai tre componenti dell’allegra brigata ed ultime raccomandazioni agli accompagnatori per le strategie da adottare.

Finalmente riusciamo ad arrivare sulla linea di partenza e dopo un po’ chiedo nel frastuono ad un compagno di ventura che ore sono. Mi tranquillizzo, ci sono ancora una ventina di minuti prima dello scoccare del via, perdo per pochi istanti i miei due amici (che nel frattempo se ne erano andati a fare la foto di gruppo che il lunedì mattina troneggia sul Mattino di Padova), ed alla fine scambiandoci il classico “cinque”, loro si avviano alla partenza. Io, invece, mi sento già stanco, le gambe molli e poca voglia di partire, tant’è che passo sotto lo striscione dopo circa 3 minuti e trenta secondi (penso di essere stato il terz’ultimo), non senza aver scambiato due parole con il sindaco di Firenze, Renzi.

I chilometri fortunatamente passano veloci, ci prendo gusto - essendo partito nelle retrovie - a sorpassare molte persone - alcune delle quali le conosco; ad un certo punto mi prende un tale entusiasmo nel correre che sembra che il traguardo sia lì vicino ed invece, appena vedo l’auto con mia sorella che si sbraccia nell’incitarmi e nell’offrirmi da mangiare, mi ritrovo al 28 km che non ne ho più. Probabilmente me lo si vedeva in faccia (la conferma me la dà il giorno successivo a pranzo mia sorella che dice solo due parole: “Eri bianco!”), ma, con il suo incoraggiamento, riparto alla grande sapendo di avere davanti Andrea e dietro Giacomo. Penso che praticamente sono in mezzo con l’assistenza e non potrò che beneficiarne.

Passano solo pochi chilometri, faccio il rifornimento volante e mia sorella mi indica che Andrea è appena ripartito, io presumo che mi dica cosi per darmi la carica ed invece alzo lo sguardo e lo vedo inerpicarsi lungo una delle tante salite che abbiamo fatto. Poco male, avanzo con il mio modo ciondolante e dopo altri 6 chilometri riesco ad affiancare Andrea che mi apostrofa dicendo: “Sapevo che mi prendevi, ti stavo quasi aspettando, tu sei più forte di testa di me”. Mi commuovo un po’ e mi gaso, non senza far tesoro dell’incoraggiamento appena ricevuto. Procediamo un po’ insieme, fino a quando decidiamo di cambiarci per la notte. Effettivamente si sta facendo buio, metto la lampada ricevuta in prestito appena due giorni prima dal buon Gianni (uno che l’anno scorso al primo tentativo ha stabilito il crono di 10 ore e 40 minuti), mi vesto pesante per non soffrire il freddo e riparto, siamo in ogni caso al 50 km.

Lì, piano, piano, inizio mentalmente ad inventarmi di tutto pur di non cedere alla tentazione di camminare . Mi dico e ripeto: “Hai fatto anche altre due edizioni sempre correndo, non c’è due senza tre”. E continuo, continuo a vedere sfrecciare auto, camper, moto, bici, in un festival altalenante che si mischia ai posti di ristoro improvvisati per accompagnatori dove si canta, si festeggia e dove campeggia un bel cartello che recita: “Accomodatevi, offerta libera”. Scorgo anche un paio di falò con della gente attorno che ti rincuora, io comunque cerco con lo sguardo sempre la macchina che guida mio cognato e di cui ho imparato a memoria la targa per cercare di farmi vedere, ma inutilmente: li vedo, ormai con le speranze ridotte al lumicino, al 75 km. E penso che saranno stati imbottigliati nel traffico anche perché ad un certo punto si faceva fatica a passare a piedi ed in lontananza si sentiva l’urlo delle sirene dell’ambulanza. Faccio un altro cambio di indumenti ed offro gentilmente anche un caffè al mio amico supermaratoneta Lorenzo Gemma, che accetta ben volentieri.

Che dire la notte è ormai fonda, vedo le stelle e non solo quelle in cielo, mi rifaccio mentalmente dei traguardi in prospettiva sempre più corti, pur di non mollare alla tentazione di camminare e continuo sempre più stanco, ma continuo e, ad un certo punto,dopo una decina di chilometri, raggiungo due persone che stanno camminando ed intravedo un mio amico, Vito, e lo saluto cordialmente. La sua risposta è veemente: “Se Dino è qui, bisogna muoversi, non possiamo farci sorpassare da uno che si è iscritto pensando di fare il Passatore solo 10 giorni fa…” Ed io gli rispondo che per fargli un favore sarei disposto anche a fermarmi, ma lui accelera, se ne va ed io resto da solo con la mia luce.

Ristoro e riparto, dopo un po’ mi sento apostrofare: “Dai che seguiamo Lucifero (che sarei stato io), che così ci indica la strada”, molto probabilmente due concorrenti che sicuramente non erano dotati di lampada portatile. Dopo un po’, sempre il solito amicone, mi apostrofa dicendo: “Accelera un po’ che ce n’hai!”, io che per non sprecare altre energie neanche in precedenza mi ero voltato per vedere che faccia avessero i miei 2 angeli inseguitori, accelero un pochettino, mica tanto, per poi - pian pianino - non sentire più nessun rumore nè battito di scarpe, segno evidente che purtroppo per loro non ce la facevano a tenere l’andatura un po’ più sostenuta che mi avevano suggerito. La sensazione che avevo dentro era mista di orgoglio e di soddisfazione, mi rincuorava e continuava a ripetermi che tutto sommato non ero poi così finito come davano ad intendere tutti i muscoli del mio corpo.

Ad un certo punto, dopo l’ennesimo ristoro volante dei miei cari accompagnatori e dopo aver superato il 90 chilometro, sento il mio nome scandito da una signora , io non ho neanche la saliva nè la forza di rispondere e non dico nulla, mi scuserò con lei all’arrivo. La signora in questione era la Natalina Masiero, decana delle maratone e supermaratone, una leggenda per tutti noi podisti padovani. Così, lasciato ai miei pensieri, raggiungo il tabellino posto a destra, bello giallo, del 95° chilometro. Comincio veramente a pensare che oramai il traguardo non mi potrà più sfuggire costi quel che costi, ma ripenso all’anno scorso quando gli ultimi 4 chilometri sono stati i più interminabili, lunghissimi e massacranti del mio curriculum di podista, ma stranamente in questa occasione, con meno preparazione e molta più incoscienza, mi sembra di star meglio.

Rifiuto, nel contempo, il ristoro volante dei miei due accaniti sostenitori a cui raccomando di aspettarmi all’arrivo, cosa che faranno solo dopo avermi comunque offerto le loro ulteriori attenzioni al 98°chilometro, ed invece io lo salto e grido loro con quel tanto di fiato che ho in gola: “All’arrivo, andate all’arrivo!”

Il mio sogno sta per avverarsi, oramai mi sembra di non avvertire più nessun dolore, sto magnificamente bene e solo l’idea di arrivare e di mettere in atto la sorpresa che ho per i miei due accompagnatori che mi ritrovo a circa 6/700 metri dall’arrivo ed inizio a guardare un po’ di qua e di là per vedere se riesco a vedere dove hanno parcheggiato la macchina e dove sono.

Avanzo lentamente perché li voglio vedere trovare, è da molto che lungo il percorso mi è balenata l’idea di arrivare insieme a loro (tra l’altro mio cognato era un maratoneta, fermato attualmente da problemi alle ginocchia) e, come li vedo, mi commuovo (come mi sta succedendo adesso che lo sto scrivendo), ho la gola bloccata, non riesco a proferire parola, ma li prendo per mano -Massimo a sinistra e Raffaella a destra -, guardo il fotografo e mi viene da ridere, penso che molto probabilmente anche le foto ne beneficeranno … Ma la mia gioia s’interrompe quasi subito per il tono brusco e quasi minaccioso di una persona che sta sul traguardo, probabilmente un giudice, che mi intima di non lasciare passare le persone che stanno con me perché sprovviste di pettorale.

Mi sento strano, vuoto, mollo la presa delle loro mani e mi avvicino mestamente e lentamente verso la pedana del traguardo, dalla quasi sensazione di vergogna che sto provando per essere stato ripreso in tal modo alla mia età: penso che a livello di classifica amatoriale non incidesse nulla il fatto di arrivare insieme ad altre due persone, ma ha fatto si che non ho gustato l’arrivo che sognavo da così tanto tempo che neanche ho guardato il tempo con cui ho terminato la corsa. Era tanto il malessere che mi aveva preso che non mi interessava più nulla, il mio pensiero era stato per loro due che, tutto sommato, psicologicamente mi hanno aiutato, condiviso, spronato e fatto di tutto pur di farmi arrivare: io, se ce l’ho fatta, lo devo principalmente a Massimo e Raffaella.

Alla fine, festa grande e freddo a tal punto che mi faccio prestare una coperta e me ne sto lì per oltre due ore davanti all’infermeria, faccio amicizia con diverse persone e trovo anche facce amiche come la Natalina, Ciccio Capecci, Angela Gargano (che mi chiede di avvisare suo marito del fatto che è entrata nell’infermeria), arriva anche il mio amico Andrea ed infine Giacomo. Si riaffaccia nuovamente nella zona d’arrivo il mio amico Vito che mi chiede quanto ho fatto, mentre lui mi riferisce raggiante che ha impiegato 12:25; mi complimento con lui in quanto è alla sua prima partecipazione e gli ricordo che l’avermi visto all'85° km gli ha fatto bene!

Do, infine, l’informazione necessaria a Michele Rizzitelli, affinché possa trovare sua moglie, arrivano anche Vito Piero Ancora, Pierantonio Berton, tutta gente che appartiene al club dei Supermaratoneti, del quale faccio parte anch’io. Gente genuina, sempre pronta ad aiutarti e con il sorriso sulle labbra a cui va il mio pensiero, perché ci sono alcuni nostri componenti che in questo momento sono in tremenda e grossa difficoltà per l’effetto devastante del terremoto.

Tutto questo, comunque, per ribadire il fatto che quello che si vuole fare alle volte si può fare, basta semplicemente volerlo e vi dico che chi non ha mai provato questa corsa non sa cosa si perde. Dulcis in fundo, avevo pensato che in caso di riuscita mi sarei iscritto per l’anno prossimo senza aspettare troppo come ho fatto quest’anno.

L’ultimo pensiero, ma certamente in prima posizione nel mio cuore, va a mia moglie che con il suo modo di fare e di essere mi permette di fare tutte dico tutte le maratone e ultramaratone che decido e penso di correre. Grazie ancora a tutti ed a questo mondo meraviglioso che ho scoperto venti anni fa che è “La Corsa”.

 
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