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Venezia - 26^ Venicemarathon

Venicemarathon: due piccioni (quasi tre) con una fava.

Maratona - Venezia - 26^ Venicemarathon

Togni_Tite_Venicemarathon_20113:27:17 Real Time, piccolo nuovo pb. Anzi due: anche nella mezza, il mio passaggio registra 1:39:50, 15” secondi prima della mia migliore mezza di poche settimane fa, a Udine. In due anni, dalla precedente ultima maratona, quella di Chicago, ho abbattuto 2 minutini. Niente di eclatante, ma è anche vero che all’asfalto dedico pochi mesi all’anno, il resto è montagna, che alla velocità non giova proprio. Non giova? Il destino volle che dovessi affrontare la maratona come una Ultra in montagna, senza gps, senza indicazioni di passo, ritmo, tempi parziali.

…senza gps, bloccato ai primi km, quindi con cuore, più che gambe e testa. Questo era quello che scrivevo la sera prima nelle mie intenzioni: correre col cuore. Il destino mi ha servita.

La coincidenza? Sono convinta che l’immaginazione si scatena osservando gli altri, sempre fonte di ispirazione, in positivo e in negativo. Come sempre prima di una gara, scorro le classifiche della stessa competizione l’anno precedente e mi diverto a cercare un mio sosia, un profilo con passaggi verosimili per le mie andature, poi ne cerco uno leggermente migliore e a quello mi ispiro. Cioè lo memorizzo, passaggio per passaggio. L’altra sera il mio profilo ottimale registrava il tempo 3:27:30. Praticamente tra il mio tempo ufficiale e il mio tempo cronometrico, ma è curioso che ciò sia avvenuto senza strumento di controllo del tempo, solo con le sensazioni nelle gambe. Solo?

Intanto me la sono voluta sin dalla partenza, dato che son riuscita ad infilarmi nella “gabbia” delle 3 ore con Augusto e quindi avevo i pacer dei 3:30, ma anche dei 3:20, dietro di me e la cosa è andata avanti un po’ troppo a lungo, fino al passaggio della Mezza compresa, che infatti registra una decina di secondi meno del passaggio dei pacers delle 3:20. Non ho fatto caso nemmeno al fatto che registravo il mio miglior tempo in Mezza e, come in un rifiuto programmatico di cercare un cronometro, nemmeno l’ho scorto quando era davanti a me, sul tabellone. Ascoltavo solo il respiro e le gambe.

A Mestre, alle prime curve e tra la folla del paese, non mi stupii quando fui raggiunta dai palloncini bianchi delle 3:20. Al contrario, li presi come orizzonte, da tenere a distanza sempre maggiore, ma in modo che non mi scappassero via. Nello stesso tempo entravo nel nuovo ordine di idee, quello di affrontare la salita del cavalcavia con scioltezza e agio per lanciarmi sul tapis roulant immaginario del Ponte della Libertà dove, finalmente, avrei potuto stare da sola con me stessa, le mie gambe, la mia testa e il mio cuore. Un sacco di roba.

Mi sono stupita e divertita nel giocare all’elastico con quei palloncini bianchi per qualche chilometro: sentivo le gambe imitare facilmente le loro. Poi ricordo due belle ragazze più giovani, dotate di bottiglietta con manico stile trailer americano, sorpassarmi decise a stare attaccate come body guard allo Stefano capo branco. Non erano convincenti però. Le ritrovai in grosse difficoltà alla fine del ponte, verso il 36° chilometro. Una l’ho invidiata, era assistita da un amico che la incoraggiava, la sosteneva, la incitava, le portava la bottiglietta, una lepre, insomma. Per fortuna, o per origini montane confermate e approfondite nel trail, specie l’ultra trail, amo stare da sola, perché sola non sono mai: avevo deciso di impiegare i 6 chilometri lineari del ponte come una passerella di immagini positive, caratteri più che persone che mi ispirano positivo o che volevo rivisitare con calma. Nel frattempo, come uno in navigazione solitaria che imposta il pilota automatico, controllavo di non saltare le procedure essenziali per me: estrarre e ingerire la pastiglietta di maltodestrine ogni 10 chilometri, poco prima del ristoro, rilassare la mandibola, le mani, le spalle, alzare i piedi stile chi-running, tallone su, punta giù, linea del corpo in Tadasana, eretta. A dire il vero non mi sono mai fermata ad un ristoro, a dire il vero non ho nemmeno mai afferrato una bottiglietta al volo negli assembramenti dei ristori, ma ho sempre proseguito oltre (desidero qui pubblicamente ringraziare i generosi che mi hanno passato la loro in corsa, rispondendo prontamente al mio segno).

Senza gps, con l’occhio esterno verso la cupola della Punta Dogana e con l’occhio interiore impegnato a sentire le gambe e i polmoni e il cuore, quel ponte tanto monotono e lungo mi è passato via in un baleno. Mano a mano che mi spingevo verso il mare, entravo dentro di me.

Le curve a gomito e i passaggi tra le mura del porto, che segnano l’entrata sulla riva, le Zattere, la Laguna, Punta Dogana, il Canal Grande non avranno avuto il boato dell’arrivo a Central Park dall’ultimo ponte che si sente alla Maratona di New York, ma la visione, più intimista e da quadro autunnale di un Canaletto, è più commuovente e vicina alla nostra cultura europea, con un tocco di Medio Oriente malinconico.

Da questo momento “è stato dolce perdersi in questo mare” degli ultimi tre chilometri tortuosi e sobbalzanti tra una passerella e l’altra, dove l’unica bussola me la davano i cartelli che annunciavano a scalare i 14 ponti da superare. Sarà che a me le passerelle non sono mai piaciute, ma di Piazza San Marco ricordo solo un piccione talmente abituato alla folla che per poco non finisce sotto i miei piedi, i quali miravano solo e unicamente a tenere la traiettoria più corta e veloce possibile e quindi avrebbero fatto strage.

“Ultimo Ponte” recitava il cartello e ancora non si vedeva l’arrivo. Avanti tutta, per quel che si può, il pilota automatico del mio ritmo cerco di farlo scorrere sui ponti come non esistessero. La fatica è tanta ma viene compensata dalla consapevolezza che, a meno di fermarsi, il pb è assicurato. Comincio ad indovinare quanti minuti ho perso su quelli che avevo scandalosamente guadagnato all’inizio, tre secondo me, vengo per un attimo distolta da un grido da destra, un amico trailer in agguato grida il mio nome (ma secondo me era lì per godere della nostra sofferenza sull’asfalto e per desistere definitivamente dal cimentarsi in una maratona, continuando a preferire la montagna), 4 passi su, 3 falcate in giù ed eccoci alla resa dei conti, i numeri freddi e precisi nel loro scorrere e nel loro fermarsi sull’attimo: 3:27:35. Lo stesso tempo della “sosia immaginata” la sera prima, ma con le tante variabili che rendono la stessa gara sempre diversa.

Ho limitato il danno, mi sono divertita un mondo, non ho avuto paura né nell’imprevisto, né di rischiare un pochino di giocare al limite delle mie possibilità registrate in allenamento. E ho capito tante cose nuove ancora, alcune pratiche (come azzerare la memoria dati di un gps prima di una gara), altre strategiche (non si può segnare un pb anche al passaggio della Mezza), ma è stato soprattutto un bellissimo viaggio non nel tempo cronometrico ma in profondità, centripeto, spaziale, molto simile alla progressione della pratica yogica: si inizia con gli asana, il lavoro sul corpo con le posizioni, per poter accedere al controllo del Prana, o Energia, principalmente veicolata dal respiro. Questa, come il passaggio alla mezza, è la porta di accesso al meditativo, alla propria zona recondita, che inizia col Prathyara, il ritrarre i sensi verso l’interno (il ponte della Libertà) seguito da Dhiana e Dharana, forme di meditazione su un punto e poi sull’atto meditativo in sé.

“Mind is everything, muscles pieces of rubber” non l’ha detto BKS Iyengar o altro Guru dello yoga, ma Paavo Nurmi, uno dei Finlandesi volanti degli anni 20, 9 medaglie d’oro alle Olimpiadi e primatista dei 1500 e dei 5000 nell’arco della stessa ora.

Sempre più in profondità, sempre più nel presente, fino allo sforzo finale, che coincide con Samadhi, la beatitudine. La beatitudine di averne terminata una, di maratona, preparandola al meglio e di avere la consapevolezza di poter fare meglio alla prossima. Se e come Dio vorrà. Magari col gps funzionante, ma con lo stesso coach, Tito Tiberti, che è riuscito a farmi divertire con le tabelle sul piattissimo asfalto, oltre che a tirarci fuori due risultati in uno.

Namasté, Tite

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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 26 Ottobre 2011 14:02)

 

La Venicemarathon di Alex e Francesco

Maratona - Venezia - 26^ Venicemarathon

Venezia_La_Venicemarathon_2011_di_Alex_e_FrancescoIl 23 ottobre 2011 sarà una giornata indimenticabile. Una giornata che vorrà dire Maratona di Venezia per Alex Zanardi e Francesco Canali, che ho avuto la fortuna ed il privilegio di seguire in bici. E a Venezia la bici è proibita, perfino per le staffette dell'organizzazione. Ma per noi no. Siamo ancora noi 4, quelli dell'Aisla Running Team (io, Claudio, Gianfranco e Gianluca) cui si è aggiunto il vero motore di tutto questo evento che è Paolo Barilla, grande appassionato di sport (quello pulito, come dimostra il Barilla Blue team) e grandissimo Signore. Insieme abbiamo seguito e accompagnato Alex e Francesco per la loro maratona.

Alex che traina Francesco: un'idea nata qualche mese prima e che mi sembrava una pazzia. Ma sono proprio le pazzie che rendono le cose ancora più belle.

Partiamo dall'inizio e dal capire, intanto, chi è Alex Zanardi. Alex è un atleta, un professionista, un pilota. Un pilota vincente, che negli Stati Uniti è un idolo delle folle per i trascorsi in formula kart e con un passato anche in formula 1. Un agonista, rimasto tale anche dopo l'incidente che gli è costato la perdita di entrambe le gambe. Lui non ha mollato e con tenacia e pazienza si è rimesso in gioco. Un grande esempio. Ora sta inseguendo il sogno di partecipare, gareggiando con le handbike, alle prossime olimpiadi di Londra. A Venezia ha già corso - e vinto - nel 2009 e nel 2010. Per il 2011 però ha lanciato questa sfida e per una volta se ne frega della competizione, del cronometro e dell'agonismo. Stavolta corre soprattutto con il cuore, divertendosi, trainando Francesco nel suo sogno. Nei giorni precedenti si è dato un gran da fare per adattare le due carrozzine, montando e smontando i pezzi con le proprie mani. Il sabato pomeriggio la prova definitiva prima della gara: Francesco indosserà un casco che sarà “legato” allo speciale poggiatesta creato per l’occasione e saranno immobilizzate le braccia con dei velcri per evitare che, con la velocità e l’asfalto sconnesso, gli possano cadere le braccia. Sono dettagli che scrivo volutamente per far capire che per Francesco queste gare non sono una passeggiata rilassante. Tutto ok:unica raccomandazione di Alex a Francesco è quella di non dirgli di rallentare.

Alla partenza della maratona c'è grande emozione: poco dopo le 9, circa 30 minuti prima della partenza ufficiale, viene dato il via ad Alex e a Francesco. Dietro di loro siamo noi 5 più le staffette in bici dell'organizzazione e alcune moto. Davanti il cameramen della Rai che riprende le fasi iniziali della gara. L'aria è ancora freddina, ma il percorso nei primi chilometri è molto bello e c'è molto tifo a bordo strada. L'adrenalina ci scalda più del sole. Passano i chilometri senza apparente fatica. Alla mezza maratona transitiamo in 1:00:00 ma la parte dura sarà nel finale, con i 14 ponti da affrontare. Le disavventure non mancano: Claudio fora una gomma e dopo una veloce riparazione rientra in gruppo. Mangone, mentre filmava con la video camera, si è infilato in una corsia del tram volando a terra con la bici. Per fortuna per lui solo una gran botta e qualche abrasione. Dovremmo essere noi di assistenza ad Alex e quasi quasi è lui che deve assistere noi... Passato il 31° km, si imbocca il ponte della Libertà, lungo circa 6 km, al termine del quale si entra in città e rimarremo gli unici al seguito di Alex e Francesco. Iniziano i ponti e subito ci rendiamo conto, se mai ce ne fosse stato bisogno, della grande forza di Alex. Passa il primo e poi il secondo e via e via gli altri. Non ha bisogno di aiuto se non per un ponte dove ci sono dei gradoni, impossibili da affrontare senza una piccola spinta. In salita spinge a tutta e in discesa frena per evitare di sballottare Francesco, che intanto immobile nel suo "bolide" si gode il panorama stupendo che ci offre Venezia. Noi siamo dietro, come sempre, emozionati ed impressionati dalla portata di questa impresa. Paolo Barilla è un tutto fare. E' in contatto telefonico con l'organizzazione, scatta foto, incita Alex e fra i due si vede la grande complicità e la forte amicizia che li lega. Grandioso il passaggio in Piazza San Marco con due ali di folla a tifare e Alex che si gira e urla: "Che spettacolooo!!!". Ormai manca poco, ancora 5 ponti ed è fatta. 4,3, 2, anche l'ultimo ponte è passato e si vede l'arrivo. Sulle note di "Nessun dorma" percorriamo gli ultimi metri: noi in bici rallentiamo e ci stacchiamo di qualche metro per lasciare ad Alex e Francesco il giusto tributo. Sono loro i grandi protagonisti.

Ma ecco la sorpresa inaspettata: Alex ferma la carrozzina sulla linea di arrivo mentre tutti noi pensiamo ad uno scherzo. Invece scende, si avvicina a Francesco e con la sola forza delle braccia lo spinge all'arrivo. Un gesto immenso che ha fatto commuovere tutti i presenti, noi per primi. Le lacrime si sprecano così come i miei "Vaff...." che dico sia a Francesco che ad Alex. Sono dei vaff.... di affetto per due persone che mi hanno regalato una grandissima emozione. Un emozione che è figlia dello sport e di una delle sue pagine più belle. Poco dopo mi si avvicina l'organizzatore della maratona per chiedermi com'è andata:mi guarda e vede che sono emozionato e con le lacrime agli occhi e allora mi abbraccia e mi stringe mettendosi a piangere a sua volta. Mi dirà poi che questa impresa ha dato un senso al loro lavoro, ringraziandomi. Beh, sono io che ringrazio lui per averci permesso di vivere tutto questo e il suo grazie lo aggiungo al mio e lo giro ad Alessandro Zanardi e Francesco Canali. Sperando che oltre a tutte queste belle esperienze ed emozioni , si possa ottenere qualcosa di più concreto per combattere la Sla.

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Ultimo aggiornamento (Martedì 25 Ottobre 2011 11:20)

 

Venicemarathon: Alex e Francesco, gli Eroi!

Maratona - Venezia - 26^ Venicemarathon

Quando conobbi Alex Zanardi ebbi l'impressione di avere davanti un uomo che aveva ripreso la vita dal bavero, con la determinazione di un campione la cambiò e la portò di nuovo sulla linea di partenza. Alex è un Eroe, lo sappiamo. Ha vinto sempre nella vita, da solo, con la sola forza di volontà, rincorrendo l'impresa, superandola. Continua a stupirci Zanardi e questa volta non è solo. Francesco Canali ha 42 anni. Da 10 ha il morbo di Lou Gehrig, la Sla. Da più di tre è in carrozzina. Non muove le gambe né le braccia. I due si conoscono e decidono di compiere un gesto unico, insieme. Alex domenica ha corso la maratona di Venezia trainando, con la propria carrozzina, Francesco. Guardate il video fatto sulla finish line (by Alberto Stretti), è da brividi, non ci sono parole. Riportiamo le emozioni vissute dai due campioni così come raccolte dalla Gazzetta dello sport.

“L’idea di correre assieme la maratona di Venezia era nata a febbraio - racconta Zanardi - Un’impresa che sembrava irrealizzabile e che invece ora siamo qui a raccontare. Personalmente è stato come vincere la maratona, e devo ringraziare Francesco per avermi fatto vivere le emozioni di questa avventura. E’ stata una gara dura, non mi sono risparmiato, ma Francesco era al mio fianco e con l’aggiunta dell’incitamento del pubblico, tutto è stato più facile". Francesco Canali non si è mai arreso alla malattia, e dopo la gara ha commentato: “Oggi ho realizzato uno dei miei sogni - racconta Canali - avrei voluto partecipare con le mie gambe ma, visto che questo non è più possibile, sono estremamente felice di averlo potuto fare in un modo diverso e insolito, ancora più bello ed emozionante. Al di là dell’aspetto sportivo il nostro obiettivo odierno era di portare attenzione sulla malattia della Sla e sull’importanza della ricerca scientifica. Adesso penso già alla prossima sfida: a questo punto, chi ci ferma più!”.

Per vedere il video (by Alberto Stretti): http://vimeo.com/30981567

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Venicemarathon: perfetta maratona in linea

Maratona - Venezia - 26^ Venicemarathon

Vi piacciono le maratone in linea?

Mi piacciono le maratone che ti portano verso un luogo: vedere la distanza percorsa come un lungo filo che unisce due realtà “lontane” mi fa apprezzare lo sforzo della maratona.

Al contrario quei tracciati la cui piantina appare come un gomitolo di filo passato attraverso le sgrinfie di un gatto mi sembrano creati per farti venire il dubbio di partecipare ad un particolarissimo gioco dell’oca che ti costringe, se capiti nella casella sbagliata, a ricominciare tutto daccapo.

Forse poi questo tipo di percorso ben si addicono a coloro che decidono di “tagliare” qualche km di troppo…

Tutto questo per dirvi che la Venicemarathon si presenta come una perfetta maratona in linea; che parte alle porte di Padova., fiancheggia la Riviera del Brenta per venti chilometri, si attarda in po’ tra Marghera e Mestre per catapultarsi infine verso la Laguna e , con un po’ di “magia”, riesce a portare il maratoneta nel cuore di una città d’acqua qual’è Venezia.

Se poi si aggiunge la novità di quest’anno - il passaggio per piazza San Marco -si capisce perchè la Venicemarathon abbia raggiunto il “sold out” con cinque mesi di anticipo!

Chiederei il parere ai lettori di Podisti per capire se il popolo dei runners: preferisce percorsi in linea, percorsi circolari o magari maratone su più giri?

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Venicemarathon: You're simply the best!

Maratona - Venezia - 26^ Venicemarathon

Sono ancora solo al 5° Km., ma oggi non va, sono imballato, questo vento freddo e contrario non mi permette di scaldarmi al punto giusto, non ho corso i lunghissimi pre-maratona che mi ero prefissato, ho il timore di non farcela…. Mille dubbi mi attanagliano.

Ma ecco le prime band che suonano per noi maratoneti e ci sollevano il morale; la ragazza della band posta verso il 5°-6° Km. intona con voce aggraziata “You’re simply the best”, e mi sembra che –anche se non è proprio Tina Turner- la stoffa ci sia. Sorrido, saluto, ringrazio, applaudo.

E’ la scossa. E’, da ora in poi, il “leit motiv” della mia gara, il mantra che esorcizza tutte le mie paure ed insicurezze. Perché è come se si fosse squarciato un velo, questa frase ricomprende le due priorità odierne: la maratona e mia moglie.

So che lei mi attende trepidante in Piazza San Marco e non posso deluderla; vedo in concreto quanto questa Maratona (la maiuscola è davvero voluta e appropriata, non è un refuso tipografico) abbia lavorato in 26 anni.

E sono, per me, entrambe “simply the best”.

Le motivazioni per cui mia moglie è per me “simply the best” sono private, personali e le risparmio ai lettori, per quanto riguarda la Venice Marathon devo citare i ristori, gli spugnaggi, la consegna delle borse alla partenza, le persone che presidiano il percorso, il grande, sincero ed entusiastico coinvolgimento della popolazione delle cittadine attraversate dalla Maratona. Si vede, si capisce, che per loro la Maratona è un’occasione festosa, è un evento che li coinvolge, ho ancora negli occhi le centinaia di bambini che “pretendono” il cinque, e questo non è casuale, è il frutto di un lungo lavoro di sensibilizzazione e di attenzione.

Anche a Mestre, dove di norma l’atmosfera è più “fredda”, quest’anno c’era moltissima gente ad incitarci e ad applaudirci lungo il percorso. You’re simply the best.

Grazie, davvero grazie a tutti voi che avete dato vita a questa gara. Io credo che ognuno degli addetti alla Maratona sia una piccola tessera, che però unita a tutte le altre tessere più o meno visibili (gli autisti dei camion, gli addetti delle ambulanze, gli sbandieratori, i ragazzi che raccoglievano i nostri rifiuti, i volontari lungo il percorso ad indicarci la strada, i cani salvataggio, bellissimi e buonissimi) forma un mosaico che rappresenta un disegno mirabile, un insieme affascinante che anno dopo anno attira sempre più iscritti.

Grazie agli scout degli spugnaggi, ai ragazzi delle band che “ci davano dentro” con la musica (mirabili i suonatori di tamburi a Parco San Giuliano), alla signora coi capelli bianchi che all’arrivo ci serviva con dedizione il the caldo, ai ragazzi che mi hanno messo la medaglia al collo e che poi si sono dati da fare per riconsegnarmi con celerità la sacca degli indumenti, a coloro che ci hanno permesso di transitare in Piazza San Marco (ma quanto è grande quella Piazza? Non finiva mai), ai pacers, a coloro che hanno posizionato i cartelli dei Km. con precisione. E’ stata una prova corale di tutti voi, protagonisti e comprimari, ci avete permesso di provare un’esperienza unica, da brividi.

You’re simply the best.

Corri, per te, per lei, per dimostrarle con la tua determinazione che quel “You’re simply the best” non sono parole, è davvero la considerazione che ho dentro di me della tua persona, che mi stai accanto da 25 anni.

Ho proseguito, dal 5° al 15°, la mia gara, sempre con questo motivo musicale in testa, con fatica, ma ho proseguito. Poi il mantra ha funzionato, sono davvero entrato in gara, pensando a mia moglie e alla bellezza della Venice Marathon, dal 15° in poi sono andato; ho cominciato a fare sul serio, a macinare i kilometri, a guadagnare –metro dopo metro- sempre maggiore sicurezza di riuscire ad arrivare in Piazza San Marco.

Per me oggi l’arrivo non è a Riva dei 7 martiri, è in Piazza San Marco, dove c’è “You’re simply the best” che mi aspetta, che grida il mio nome come se fossi in testa alla gara, che si preoccupa se vede una mia smorfia di fatica o di dolore. Là devo arrivare.

E ci sono, passo il ponte di barche sul Canal Grande, 100 metri, curva a sinistra ed entro nel salotto della città, anche se non ne ho più spingo sulle gambe, un giro d’onore da groppo alla gola, salutando il pubblico che ci applaude, avrei voglia di abbracciarli tutti, ad uno ad uno.

La tensione –finalmente- si scioglie, ce l’ho fatta, correre in Piazza San Marco è davvero un privilegio e avere lì mia moglie che mi incoraggia è il miglior premio per questa fatica. La sua presenza va a coronare una giornata e un’organizzazione perfette.

Grazie, davvero, alla Venice Marathon, un ringraziamento speciale a mia moglie; a Tiziana e ad Arturo un abbraccio fortissimo, in loro ho trovato una sorella ed un fratello, il calore sincero di chi ti vuole bene disinteressatamente, quel senso di appartenenza ad una famiglia che mai sinora avevo provato.

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