Il mio Tor des Geants in ricordo di Bruno

Ultramarathon - Ultra - Settembre 2012

Campi_Claudio_Tour_de_Geants_2012Bruno Ranzone, di Novara, è un collega di lavoro diventato amico. Alla soglia della pensione, eredita da me la passione per lo sport, della bici in questo caso, e nel tempo il suo sogno diventa pedalare da Novara a Carpi (MO). Un tragitto fatto infinite volte in auto e che ora vuole simbolicamente fare in bici. Con calma, senza eroismi, il semplice sogno di un uomo passato anche fra le maglie dell’infarto. Si prepara con cura, chiede consiglio, si entusiasma vedendo i progressi. Finalmente si sente pronto ed organizziamo, prenotiamo, studiamo il percorso per stare su strade secondarie, ci siamo. Manca solo una settimana e sono alla maratona di Praga quando suona il telefono. “Bruno non c’è più”. Impossibile, abbiamo preparato tutto, sabato prossimo è il suo grande giorno e mi ha salutato appena prima di partire. “Claudio, Bruno non c’è più, se n’è andato”. Non ho nemmeno fatto in tempo a vederlo l’ultima volta. Il tempo passa fra incredulità e sconcerto.

Non avevo ancora preso in considerazione il Tor des Geants e, in un groviglio di pensieri, ho acceso la speranza di poterlo fare per dedicargli questa esperienza. Abitare in pianura non è certo un vantaggio. Significa sacrificare ogni fine settimana, partire il venerdì sera per il Trentino e stare sui sentieri il più possibile. Nei mesi estivi è difficile anche correre a casa la sera, viste le temperature. Un paio di mesi persi anche a causa del terremoto che ha colpito la mia zona. Anche se ridotte rispetto al previsto, riesco a recuperare qualcosa nelle ferie trascorse in Valle d’Aosta.

La partenza del TDG è un crescendo di emozioni. Un disabile in carrozzina mi saluta e incita. Ho vissuto altri momenti simili e per la sensazione che provo è come se mi dicesse: “Vai, vai anche per me che non ho la possibilità di farlo!”. Parto lentamente, cammino senza spingere. Ho buona esperienza sulle gare lunghe ma l’allenamento temo sia un po’ scarso. Passo il primo settore a Valgrisenche e continuo. Nella notte, sulle prime discese molto ripide, saltano entrambe le unghie degli alluci. Il momento è difficile e continuo inarcando i piedi per evitare il contatto, in salita non ci sono problemi. Senza soste arrivo a Cogne dopo circa 100 km e +8000 metri. In meno di tre ore mangio, curo i piedi, riposo, faccio colazione e riparto.

All’arrivo a Donnas ripeto la sequenza e riparto per il settore più duro, oltre 50 km con un dislivello di quasi 5000 metri. Per un mio errore di lettura del percorso, quando vedo Gressoney dall’alto, penso di essere quasi arrivato. A complicare le cose un paio di incontri sul sentiero che mi assicurano la continua discesa fino al paese. Ho tempo e mi riposo, vado tranquillo. Quando arrivo al ristoro e capisco l’errore sono quasi disperato. Ancora un colle da superare e poi una lunga discesa.

Parto e mi fermo più volte. Sono al limite con il tempo e temo di fare tanta fatica per nulla, ma penso di avere una possibilità e voglio giocarmela. Supero il colle e il fortissimo vento freddo che spazza l’altipiano, supero le allucinazioni da stanchezza, raschio il bidone delle energie ed arrivo alla base di Gressoney alle 0,30, mezzora prima della chiusura. Mi riassetto lo zaino, mangio e devo ripartire seguito dalle scope sul percorso.

La salita al rifugio Alpenzu è molto impegnativa, ma stanco come sono mi sembra verticale. Al rifugio riesco a riposare circa tre ore. Arrivo ai 2800m del Colle dei Pinter ed entro in una valle d’Ayas con i torrenti ghiacciati. Conosco e sono particolarmente legato a questa valle ed attraversarla in questa occasione è una emozione molto forte. Arrivo a sera nella base di Valtournenche con le gambe un po’ doloranti e sento il medico. Quadricipiti infiammati, ghiaccio, riposo e speranza…

Riparto dopo un paio d’ore, una gamba sta bene, l’altra meno ed in cima al primo colle cede. Continuo, si gonfiano gambe e piedi. In salita e in pari va anche bene, ma la discesa diventa difficile. Arrivo all’ultimo colle e scendere diventa difficile, soprattutto pensando che dovrò fermarmi. Nella lunga discesa mi faccio scattare una foto che dedico a Bruno. Avrei voluto farlo all’arrivo ma non sarà più possibile. Ho superato grandi difficoltà, ho resistito, quando ho avuto solo una possibilità mi sono impegnato per sfruttarla a fondo, sto bene e il supporto mentale è ottimo. Ormai cominciavo a crederci, sentivo che il traguardo era alla portata tanto più che, causa ghiaccio, il percorso era stato accorciato. Dopo 270 km e circa 20000 metri di dislivello positivo, a trenta km dal traguardo, sono costretto a fermarmi. Insistere sarebbe stupido, un inutile autolesionismo che potrebbe portare a conseguenze gravi. Fa male scoprire che amici e persone care, Natascia, Elga, Ivo, Anna erano già pronti per venire in valle ad aspettarmi all’arrivo sabato mattina. Avrei telefonato anche alla famiglia di Bruno nella speranza di poterli vedere.

Non sono arrabbiato, solo un po’ amareggiato dal mancato traguardo. Ho vissuto una straordinaria esperienza, sofferenza ed emozioni a livelli altissimi. E quale sarà il senso di tutto questo? Credo nella bellezza di regalarsi un sogno impossibile, scavando dentro se stessi per cercare quella forza e sensibilità che difficilmente emergono nel quotidiano. Io credo che tante persone vorrebbero vivere il loro sogno impossibile ma non ne avranno mai la possibilità, per mancanza di capacità o di volontà, o peggio per problemi fisici, di salute. Io credo che tante persone siano attratte da chi affronta cose particolarmente impegnative, perché magari inconsciamente, attraverso questi vivono il loro sogno fantastico. Io mi ritengo una persona molto fortunata per essere arrivato fino a qua e non solo per questo.

Un saluto a Giannino che amava lo sport e la montagna, fino a quando un’auto non lo ha visto. Ora il suo punto di vista è da una sedia con le ruote. Saluto Simone di Verona, da sempre e per sempre su una carrozzina con il papà ed uno straordinario gruppo di amici che lo accompagna alle corse. Saluto Simone Grassi (anche se non lo conosco personalmente) e con lui Alice, Sofia, Luca (amici dalla 100 km del Sahara) e tutti gli altri che sulla loro strada hanno incontrato la malattia.

Quello che vorrei riuscire a trasmettere dalla mia esperienza è l’assoluta necessità di credere sempre di potercela fare, in ogni momento ed in ogni condizione. Lottare sempre perché anche una sola possibilità può essere quella buona. Purtroppo questo non ci darà la certezza assoluta di arrivare, ma solo arrendersi senza combattere significa veramente perdere.

Ciao Bruno, una settimana ha negato il tuo sogno ed ora, trenta miserabili km hanno interrotto il mio. Ma noi abbiamo sempre lottato ed alla fine ci facevamo bastare quello riuscivamo a fare. Peccato non poterci fare ancora un paio di birre fresche.

Ciao Bruno.

Ultimo aggiornamento (Venerdì 16 Novembre 2012 21:39)